Oltre un milione di esami di screening in meno, per un potenziale incremento delle diagnosi di cancro prossimo alle cinquemila unità. È questa la faccia più subdola del Covid-19, che potrebbe aprire la strada verso l’aumento dei pazienti oncologici. A tracciare tale stima è l’Osservatorio Nazionale Screening, in un rapporto che quantifica i ritardi accumulati nella diagnosi oncologica della popolazione solo nei primi cinque mesi del 2020, caratterizzati dalla fase acuta della pandemia.
Personalmente non comprendo, tuttavia, come si possa mettere in dubbio la decisione iniziale di sospendere gli screening, pur se presa in fretta e furia a marzo 2020 sotto l’effetto dell’onda dello Tsunami COVID, così come non metto in dubbio la necessità di ripartire il prima possibile, e non solo con gli screening. Impensabile, a mio avviso, l’accostamento tra la prevenzione di una malattia oncologica di cui si conoscono prevalenza ed incidenza in un gruppo di popolazione omogenea per sesso ed età e la prevenzione di una malattia virale, in fase pandemica, di cui non si sapeva niente e che poteva essere fatta solo di contrasto alla diffusione del contagio, attraverso l’uso di adeguate precauzioni di distanziamento e di dispositivi di protezione individuale. Non si può certo negare l’impreparazione dei nostri ospedali e delle strutture sanitarie territoriali, entrambe sedi di acquisizione dei test di screening, ad affrontare un evento pandemico di questa portata, laddove notoriamente i DPI per il personale sanitario non erano disponibili neanche nei punti di accesso dei pazienti affetti (o sospetti tali) da Covid-19 (Pronto Soccorso, MMG, Radiologia) e men che meno nei centri di erogazione dei test di screening.
Ritengo che, nei fatti, non si poteva continuare ad eseguire screening come quello mammografico, per il quale è indispensabile ed inevitabile uno stretto contatto tra operatore sanitario e utente. A marzo avremmo potuto davvero stimare il beneficio di uno screening oncologico superiore al rischio di diffusione della SARS-Cov-2? Da eroi ad untori il passo è breve… in molti l’hanno già scritto. D’altra parte, è bene si sappia che durante la fase 1 dell’emergenza Covid-19 l’attività clinica, follow up oncologici e secondi livelli di screening, inclusa l’attività interventistica di diagnosi e cura, non è mai stata sospesa. Gli operatori sanitari sono pronti a ricominciare e, con orgoglio, sottolineo “sanitari”, che anche in materia di screening conoscono perfettamente regole e finalità del loro lavoro, con benefici, limiti e rischi troppo spesso sottostimati.
Non dobbiamo accettare sconti sul calcolo dei fabbisogni dettati da standard di sicurezza, rispetto a prima molto più onerosi in termini organizzativi ed economici, ma senza i quali in un servizio ad alta frequentazione come quello di screening, il rischio è inevitabilmente quello di una nuova chiusura. La crisi della sanità pubblica e lo screening oncologico nell’era del Covid-19, devono portare i vertici a discutere del futuro degli screening oncologici in diversi commenti, a partire da quello di Marco Zappa, nel quale affiora la preoccupazione che questa crisi possa aprire una nuova epoca nella sanità pubblica e che lo screening si trovi ad esserne un anello debole, servizio accessorio, superato dagli eventi. Una preoccupazione, a mio avviso, reale.
Il Servizio Sanitario Nazionale si è confermato un pilastro essenziale e soprattutto vitale, come hanno testimoniato il sacrificio, fino alla morte, di tanti medici e personale sanitario. Questi mesi drammatici hanno, però, messo tragicamente in luce la crisi profonda della Sanità pubblica italiana. Abbiamo sempre più bisogno di un’ottica non più centrata sulle prestazioni sanitarie, il modello di oggi, ma invece rivolta a costruire salute e a valutare l’impatto degli interventi. Carlo Saitto, in un recente saggio che prende spunto dall’epidemia Covid-19, ripropone l’inderogabile necessità di guardare alla salute come obiettivo, per la comunità e per le persone, e in tal senso si sta muovendo la Sanita in questo momento. Lo screening oncologico è un servizio che ha sempre avuto le caratteristiche di un movimento interprofessionale, ha sempre considerato continuità e integrazione di prevenzione e cura come necessarie per una azione di Sanità pubblica che guardi alla salute della comunità. Della mancanza, ormai storica, di un moderno orientamento alla comunità e alle persone nel nostro sistema sanitario, la epidemia Covid-19 è stata una dimostrazione.
Lo screening oncologico ha costruito un sistema informativo sia specifico sulla performance del servizio, sia rivolto a valutare i percorsi di salute nella comunità, finalizzato alla valutazione in continuo degli interventi e degli esiti. La crisi del Covid-19 è stata, tra le altre cose, la dimostrazione della crisi del sistema informativo delle malattie infettive e che, per questo, ha clamorosamente mancato nella stessa sua capacità di capire il fenomeno (l’eccesso dei decessi attribuibili a Covid-19, certificato da ISTAT, lo dimostra). Ogni flusso informativo, lo screening oncologico è uno di essi, è quota-parte dell’intero sistema di sorveglianza della Sanità pubblica e solo così può consentire lo studio di percorsi integrati di prevenzione, cura e malattia. I dati che ha già pubblicato l’Olanda sui trend dell’incidenza dei tumori, nei primi mesi del 2020 (che i nostri registri tumori non hanno neanche immaginato di poter valutare), dimostrano quanto una epidemia infettiva impatta sulla intera salute della comunità e ne condiziona la salute futura.
Tanto dobbiamo ancora fare su una comunicazione che favorisca le scelte informate delle persone. Come si è visto in questi mesi, uscire dal paternalismo informativo e sviluppare una partecipazione consapevole, è problema assai aperto anche in momenti difficili come quelli dell’epidemia. Lo screening con HPV, sorretto dalla vaccinazione in età scolare, ha integrato maggiormente una offerta di prevenzione primaria e secondaria per le persone giovani.
Auspicabile che i vertici affrontino, quindi, con consapevolezza questo grosso problema.