La foto mostra la vEyes Orchestra in concerto a Milo

Se gli uomini anziché usare le armi usassero le bacchette per dirigere un’orchestra, pensate quanta armonia ne verrebbe fuori. Gli archi, le viole, i violoncelli, i fiati, ognuno con in braccio il proprio strumento. Forse un’utopia, una follia. I sognatori, i folli, sono emarginati. È emarginato e folle, colui che spera ancora che qualcosa di buono possa essere realizzato. Allora preferisco appartenere ai folli.
Quando realizzi un progetto, pensi che tutto possa essere superato, pensi a tutti coloro che potresti stupire, entusiasmare, vedi già i loro volti delusi o emozionati. Ogni notte, chiudendo gli occhi, immagini ogni singola scena e non tralasci nessun particolare, quel particolare che sai diventerà imperfezione, quell’imperfezione che ti farà dire: “Mannaggia, lo sapevo!”
Allora capisci che nulla può essere perfetto, rimane sempre qualcosa di incompiuto, di dimenticato, quello sbaglio che non rifaresti più. Perché quell’errore ti avrà permesso di capire quanto ardore e amore c’era in ogni singolo momento. Ecco, questo in sintesi è ciò che abbiamo cercato di realizzare noi tutti che apparteniamo alla meravigliosa famiglia di vEyes.
Un grande progetto, musicisti ipovedenti e non vedenti che suonano insieme ai vedenti. Un progetto iniziato più di un anno fa che nei giorni di luglio ha visto la sua realizzazione. Sono stati giorni ricchi di emozione, ma in nessuno di essi è mancato il sorriso e la gioia di andare avanti, tenendosi per mano. È stato come vedere realizzato un grande quadro, ogni giorno una pennellata di colore, ogni giorno una sfumatura diversa.
La nostra struttura vEyes Land è stata popolata da musicisti per diversi giorni. Già, un progetto incredibile. Sono state mille le cose da fare, ci siamo ritrovati immersi in un vortice in cui non abbiamo sentito più la fatica, avevamo davanti solo l’obiettivo: la realizzazione di un sogno che si espandeva, si allargava, non era più solo nostro, ma di tutti coloro che ne hanno fanno parte.
È stato bello vedere la nostra struttura ricca di orchestrali, provenienti da tutte le parti d’Italia, ognuno con il proprio strumento. La musica è protagonista, la musica che inebria, eccita gli animi e spezza ogni barriera.  Non ci sono più limiti, siamo tutti uguali, nessuna differenza. Ipovedenti, non vedenti e normodotati che suonano insieme creano armonia, ognuno con i suoi meriti.
Meritocrazia e non pietismo. Perché un disabile non dovrebbe essere più bravo di me, perché gli manca qualcosa? Tutto quello che manca a me, non è visibile, eppure, se la gente potesse vedermi spoglia di tutto, vedrebbe solo quello che manca e non quello che c’è: i miei occhi, il mio viso, le mie gambe.
Su quel palco c’era solo la musica, le note che si propagavano nell’aria fondendosi con la natura, con gli alberi, i profumi, i fiori, il cielo che in alto sovrastava tutto come un infinito e lungo abbraccio. Una infinita girandola di note, note e magia.
Bach, Beethoven, Mendhelssohn, Vivaldi, mi dispiace per Schubert, ma nulla è stato incompiuto. Già, meritocrazia. Meritocrazia per Monica Tenev, che con il suo flauto ha fatto vibrare gli animi. Onore a Gianluca Casalino, al suo pianoforte, alla meravigliosa magia che ha saputo creare. Quando sono andata a prenderlo in aeroporto, mi ha detto: “la gente pensi che sappia quanta fatica io faccia per imparare i pezzi a memoria?” E allora, Gianluca, diciamolo pure alla gente quanto hai faticato, ma quanto tu sia stato meraviglioso.
“Se questa gente non fosse stata brava non avrebbe suonato” mi ha detto esplicitamente Luigi Mariani, il direttore d’orchestra, lui con la sua bacchetta che si illuminava per guidare gli ipovedenti. La bacchetta di Harry Potter capace di creare magia, perché diciamolo pure che lui la magia l’ha realmente creata, su quel palco.
Adesso che le luci si sono spente temporaneamente, la musica ha smesso di suonare a vEyes Land e i musicisti sono andati via, una pace nuova alberga nei nostri cuori: la speranza. La speranza che tutto quello che abbiamo realizzato diventi normalità, quotidianità e non il “fenomeno”. Questo determinerà il “cambiamento”. Dovremmo meravigliarci quando non riusciamo ad abbattere le barriere, quando creiamo ostacoli e muri insormontabili e non quando un disabile visivo suona insieme ad un normodotato.
Dovremmo stupirci quando non insegniamo ai nostri figli la generosità, il rispetto e gli proponiamo un mondo di falsi stereotipi. Il progetto della vEyes Orchestra continuerà a stupirci, e forse chissà, un giorno i palchi di tutto il mondo si riempiranno.  Voglio credere ai folli, i folli come mio marito.

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