L'immagine mostra parte della vEyes Orchestra durante una sessione di prove

Con questo numero della nostra rivista avviamo la pubblicazione, in tre puntate, di un “diario” sulle riunioni tenutesi a Roma nei primi giorni dell’anno in corso per discutere e avviare la costituzione della vEyes Orchestra, ensemble nel quale saranno inseriti strumentisti con disabilità visiva. Un progetto ambizioso che a grandi passi si avvicina alla sua realizzazione e che non manca di suscitare emozioni. Già a partire dalla lettura del “diario” che vi proponiamo….
“La tastiera non ci serve. Aspetta che la sposto, così abbiamo più spazio”.
“No, lasciala, la uso come leggio”.
Leggio? Ma allora qualcuno che legge c’è. E questa è, a modo suo, una notizia.
È il 2 gennaio e siamo seduti in cerchio, in una stanza al primo piano dell’istituto delle suore Orsoline che ci ospita in questi giorni. La giornata è fresca e pulita: dalle finestre entra qualche guizzo di quella luce stupefacente che forse esiste solo a Roma. Verso il centro della sala c’è un pianoforte a coda. Alle pareti, un crocifisso, una natività e altre immagini sacre. Siamo arrivati un po’ alla spicciolata. Luigi, il timoniere di questo viaggio spericolato, è qui da ieri, insieme a sua moglie Elisabetta. Sono partiti da Torino. Maria e Antonello si sono alzati alle cinque di stamane: da Altamura, in provincia di Bari, hanno raggiunto il capoluogo pugliese e da lì hanno preso il primo treno per la capitale.
“Piacere, Marica. Anch’io vengo dalla provincia di Bari. Da Gravina”.
Il misterioso e invisibile architetto di questa storia deve avere una predilezione per il mare, i taralli, i panzarotti e la tiella patate riso e cozze (guai a invertire l’ordine degli ingredienti: su certe cose non si scherza). Diversamente non si spiegherebbe, in un progetto di respiro nazionale, il tasso di Puglia e di Pugliesi ben al di sopra di qualsiasi limite consentito. Marica non aveva mai incontrato né Maria, né Antonello, ma abitano a pochi chilometri di distanza e ci vuole un attimo per fare amicizia, a suon di locali sul lungomare e ricette delle nonne.
A metà pomeriggio arriva Lorenzo, che è partito da Torino, ma che, tanto per non sfigurare, ha anche lui i suoi bravi altarini baresi, visto che il ramo paterno della sua famiglia è originario di Polignano a Mare. La coerenza ci piace assai. Sceso dal Frecciarossa a Roma Termini, Lorenzo è stato preso in consegna dai ragazzi dell’assistenza e catapultato a bordo di una vettura con tassista (pardon, tassinaro) che pare uscito da un film di Verdone. Del codice della strada ha un’idea piuttosto sui generis.All’inizio guarda con un certo sospetto la strana custodia che Lorenzo tiene in spalla, temendo forse celi un mitra. Ma poi si rassicura: “Anvedi, ci avemo ‘n maestro de violincello… e sì, bisogna di’ maestro, perché, se sa, ce sta pure gente ch’o fa de professione”.
Manca ancora Massimiliano, il paziente tessitore, la persona che pur senza conoscerci ci ha fatti incontrare. Arriverà da Catania questa sera, con la famiglia. Nel frattempo, c’è una sorpresa: si unisce a noi Riccardo, un bravo sassofonista jazz, che Luigi aveva conosciuto quando insegnava al conservatorio Santa Cecilia di Roma. Si abbracciano: si capisce che hanno voglia di rivedersi. Riccardo non è ufficialmente tra i “convocati”, eppure lo percepiamo subito come parte del gruppo.
Abbiamo lasciato gli strumenti in un angolo e ora, dicevamo, siamo seduti in cerchio, un po’ in stile alcolisti anonimi (e in effetti siamo quasi tutti dipendenti cronici di una sostanza pericolosa, chiamata musica). Uno alla volta, ci presentiamo. Scopriamo che tanti di noi sono esseri un po’ “ibridi”, abituati a navigare in acque diverse. Maria, ad esempio, è una violinista al nono anno di conservatorio, però è anche studentessa di giurisprudenza e sogna di diventare un magistrato. Marica, violinista, è iscritta al corso di laurea in Terapia della Neuro e Psicomotricità dell’età evolutiva. Lorenzo è diplomato in violoncello, ma lavora come giornalista.
“Antonello, e tu che cosa suoni?”
“Niente”.
“Come ‘niente’… non è possibile. Qualcosa dovrai pur suonare”.
Antonello è l’eccezione che conferma la regola. Fidanzato con Maria, studia giurisprudenza ed è l’unico non musicista del gruppo. Siccome è molto simpatico e gentile, per questa volta lo perdoniamo e lo accogliamo nel gruppo di buon grado.
Luigi ed Elisabetta ci dicono pochissimo di sé. Forse servirebbe una ricerchina su Google (o Spotify) per scoprire che sono entrambi musicisti di successo. Luigi è pianista, compositore e direttore d’orchestra: insegna al Conservatorio di Torino. Elisabetta è una clavicembalista di fama internazionale. Hanno girato mezzo mondo e incontrato tanti grandi della musica. Eppure, a bordo di questa stranissima nave, ci sono ruoli, ma non gerarchie. Tutti abbiamo molto da imparare e qualcosa da insegnare. Allora, bando alle ciance… e musica sia.
D’istinto ci alziamo per andare verso i nostri strumenti, ma Luigi ci richiama indietro.
“Inizieremo cantando”. Ci parla del legame strettissimo che tiene insieme pensiero musicale, vocalità ed esecuzione strumentale: sono momenti diversi di un unico cammino. Dunque, se vogliamo rompere il ghiaccio e iniziare a immaginarci gruppo, conviene partire dal canto.
Sembra facile, ma non lo è. La voce è una parte di noi molto profonda, molto intima. Per questo, anche ai musicisti che non hanno alcuna difficoltà a suonare in pubblico, può succedere di trovarsi a disagio se vengono invitati a cantare. Ci si sente vulnerabili. Ci si sente messi a nudo. Luigi ed Elisabetta lo sanno perfettamente, ma ci stimolano a provare comunque, perché ci farà bene. Tra noi c’è chi è più timido, chi più faccia tosta: tutti comunque ci mettiamo in gioco e un po’ alla volta prendiamo coraggio. Iniziamo con qualche esercizio di intonazione, poi impariamo il canone Dona nobis pacem di Mozart. Lo ripetiamo più e più volte, finché le voci trovano un loro equilibrio. A questo punto, passare agli strumenti è un gioco da ragazzi. Ci mettiamo subito a suonare Dona nobis pacem e sperimentiamo diverse disposizioni: prima tutti attorno al pianoforte, poi sempre più distanziati, fino a occupare gli angoli della stanza. Poco dopo passiamo al corale O haupt voll Blut und Wunden, tratto dalla Matthäus-Passion di Bach. L’organico è certamente un po’ singolare: Marica (violino I), Maria (violino II), Riccardo (sax travestito da viola), Lorenzo (violoncello), Elisabetta (pianoforte e sostegno alle parti che si perdono strada facendo), Luigi (direttore). Sarà singolare, però funziona. Scopriamo con stupore che il timbro del sax si sposa a meraviglia con quello degli archi. E scopriamo anche altro di noi.
“La tastiera non ci serve. Aspetta che la sposto, così abbiamo più spazio”.
“No, lasciala, la uso come leggio”.
Leggio? Ma allora qualcuno che legge c’è. E questa è, a modo suo, una notizia. C’è, in effetti, un altro aspetto che ci tiene assieme, oltre alla musica. Accompagnatori a parte, tutti facciamo i conti con una disabilità visiva, più o meno grave. Tra noi ci sono persone cieche (come il timoniere Luigi) e persone ipovedenti (come Marica, Maria e Lorenzo). Ciascuno ha le sue strategie e i suoi sistemi di apprendimento e/o di sopravvivenza. Una cosa è sicura: solo Maria riesce a leggere spartiti musicali. In questo caso è lei l’eccezione. Tutti gli altri hanno bisogno di studiare le parti a memoria.
“È anche per questo che mi sono dato al jazz – racconta Riccardo –. Nel jazz lo spartito conta fino a un certo punto, perché quello che suoni non è mai quello che c’è scritto”.
A parte Maria (la nostra “pecora nera” che legge) e Riccardo (che ha scelto un’altra strada) tutti abbiamo capito abbastanza presto che la pratica orchestrale (naturale sbocco professionale per la maggior parte dei musicisti) a noi sarebbe stata preclusa. La musica classica è essenzialmente musica nata per essere letta, perché (pur con le dovute eccezioni) presenta dimensioni e complessità spesso inconciliabili con l’apprendimento mnemonico. Le orchestre hanno una programmazione che cambia di continuo e, a meno che uno si chiami Pico della Mirandola, imparare a memoria lo sterminato repertorio richiesto è pressoché impossibile. Che fare, allora?  Ci rassegniamo o proviamo a chiederci se esista una strada alternativa?
È anche per questo che siamo qui: per immaginare una strada alternativa. “Quello che puoi sognare, lo puoi anche fare”, diceva Walt Disney. Crediamo e speriamo che questo valga anche per noi. Intanto, senza andare troppo lontano, per oggi siamo abbastanza soddisfatti del nostro insolito corale di Bach e di quella sintonia che, tra una risata e l’altra, stiamo cercando di costruire.
Messi a nanna gli strumenti, andiamo a cena in un locale che si chiama “Mollo tutto”. Davanti ad hamburger con cipolle e birre alla spina, ci sciogliamo, lasciando che siano le nostre passioni a parlare per noi. Elena (la ragazza di Riccardo), Maria e Marica parlano di come imparare le lingue e di opportunità internazionali. Riccardo e Antonello si scoprono uniti nell’amore per il rock progressive made in Italy. I nostri discorsi sono un impasto di accenti e parlate, dal torinese al barese, su cui spicca, se non altro per dovere di ospitalità, il colorito romanesco di Riccardo (che inizia quasi ogni frase con “a rigà…”). Riccardo ci stimola ad ascoltare il jazz “che è un mondo”, un po’ come lui, anni fa, ha iniziato ad ascoltare musica classica, scoprendo di amare Brahms.
Nel frattempo ci raggiunge, dopo un viaggio di molte ore, Massimiliano, l’artefice del nostro incontro. Ci presenta la sua famiglia: Giusi (sua moglie, scrittrice) e i figli Arianna (quasi 14 anni, studentessa di liceo classico e violoncellista), Michele (10 anni, cabarettista nato) ed Emanuela (8 anni, instancabile narratrice di storie e barzellette, nell’attesa di diventare attrice o ballerina). Una famiglia, insomma, in cui l’arte non manca. A fine serata Riccardo ed Elena ci salutano. Se riusciranno, torneranno a trovarci domani.
Rientrati all’istituto delle Orsoline, Luigi, Elisabetta e Massimiliano si incontrano per fare il punto. Si infiltra anche Lorenzo, con la scusa che fa il giornalista e che ha bisogno di informazioni per redigere una cronaca di questi giorni (ma sarà poi vero?).
Ci sono dubbi e incognite, però l’entusiasmo è molto più forte. Domani Massimiliano spiegherà a tutti il progetto, che è complesso e ambizioso. Per ora andiamo a dormire, stanchi per il viaggio e un po’ ebbri per la nuova avventura (1 puntata-continua).

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