Attraverso lo sport, e quindi attraverso il movimento, si ha la possibilità di fare integrare maggiormente i disabili, sia tra loro che con i “normodotati”. Oltre a migliorare le capacità motorie condizionali o coordinative, lo sport infatti accresce la capacità di dialogare e relazionarsi con l’altro, di integrarsi nel gruppo e di assumere delle scelte davanti a più possibilità, permettendo inoltre di essere, a poco a poco, sempre più autonomi, ovviamente nei limiti delle possibilità.
Un esempio della straordinarietà dello sport nel mondo della disabilità, e in particolare della disabilità motoria, ce lo offre la dottoressa Elide La Scala, vice primario nel reparto di Unità spinale dell’azienda ospedaliera Cannizzaro, a Catania, ma anche responsabile del percorso di Sport-Terapia, realizzato con la collaborazione del Cip (il Comitato Italiano Paralimpico), nel quale si svolgono discipline come tiro con l’arco, tennis tavolo, nuoto, danza. La dottoressa La Scala, inoltre, è una delle fondatrici del Cus Cus Catania (abbreviazione di Cannizzaro Unità Spinale e Centro Universitario Sportivo Catania), la prima squadra di basket in carrozzina della provincia etnea (nel gennaio del 2014 il suo debutto in serie B).
Dottoressa La Scala, potrebbe spiegare cos’è il basket in carrozzina e come è nata l’idea di questo progetto?
“Il progetto del Cus Cus basket nasce da una filosofia condivisa. Amicizia, divertimento e collaborazione, al fine di fronteggiare insieme il mare aperto dell’inclusione sociale promuovendo, tramite lo sport, uguaglianza di opportunità in qualità di cittadini e utenti consumatori di beni. Il basket in carrozzina è un gioco di squadra ed è probabilmente uno degli sport più conosciuti per la carica agonistica dei giocatori e per la complessità delle scelte tecnico-tattiche individuali e di squadra che riproducono in tutto e per tutto quelle di una partita di pallacanestro per normodotati. Rappresenta una delle espressioni più elevate delle potenzialità residue del disabile motorio. Una particolarità importante, inoltre, è che nella squadra possono giocare anche normodotati”.
Quanti sono i ragazzi disabili che partecipano a questo progetto?
“Non è stato facile iniziare. Non è stato facile trovare persone che si avvicinassero a questo sport. Attualmente i ragazzi sono 14, di cui 12 disabili e 2 normodotati. La cosa più bella, dopo alcune difficoltà iniziali, è che ogni anno ci sono nuovi ragazzi che si avvicinano a questo sport e, per me che mi occupo di disabilità e di riabilitazione, è il goal centrale del progetto. Diversi ragazzi provengono dall’Unità Spinale, e sono dunque ragazzi che, prevalentemente in seguito ad incidenti stradali, hanno avuto lesioni midollari. Il basket, però, è per tutti. Tra i ragazzi si trovano anche altre patologie, come poliomelite, esiti di amputazione e lesioni traumatiche”.
Come vivono questi ragazzi, secondo lei, il passaggio che li porta ad essere atleti? E quali sono le motivazioni che possono spingere un disabile a iniziare un’attività sportiva, magari anche agonistica?
“Non credo ci sia un passaggio. La disabilità non cambia. Cambia il modo di vivere la condizione di disabilità che purtroppo, spesso, è la causa delle barriere che si innalzano di fronte a queste condizioni. Alcuni ragazzi, prima di avere la lesione, facevano già dello sport. Quindi il riprendere l’attività sportiva è una bella scommessa e una bella soddisfazione. Ci sono altri ragazzi che si avvicinano ex novo e scoprono quanto sia “sano”. Iniziare un’attività sportiva in una condizione di disabilità credo che sia un modo, per la persona disabile, di mettersi in gioco, verso gli altri ma soprattutto verso se stessi, scoprendo potenzialità che prima sembravano inesistenti o irraggiungibili”.
Cosa consiglia a chi ha una disabilità motoria e non pratica alcuna attività sportiva?
“Consiglio di affrontare la vita quotidiana, di uscire di casa, di guidare la macchina, di salire su un marciapiede con la carrozzina, di uscire con gli amici. È questo ciò che rende la «propria disabilità abile» e così è per lo sport… perché lo sport è vita”.