Mi chiamo Giusy, sono il vice presidente della Onlus vEyes e mi occupo del progetto “Vediamoci chiaro”. Sviluppiamo programmi e piani di lavoro sociali non solo per ipo e non vedenti, ma rivolti anche alle altre diversità. Aprirsi alla società civile e sviluppare collaborazioni a tutto tondo all’insegna dell’inclusione e dell’integrazione: ecco le nostre finalità.
In occasione della tre giorni sull’Etna con cui vEyes ha voluto concretamente aderire alla campagna “Yellow The World”, abbiamo cercato di offrire all’interno della nostra struttura opportunità alternative alla scalata del Vulcano. Percorsi tattili, giochi della gioventù, colloqui con la psicologa, dove ognuno ha avuto modo sia singolarmente che in gruppo di confrontarsi. Inoltre abbiamo organizzato una caccia al tesoro che potesse essere affine al progetto “Yellow The Word”. Ma non solo: piccole e grandi mani si sono ritrovate insieme – ciascuno lasciando la propria impronta – per colorare di giallo un cartellone. C’era l’Associazione Famiglie Persone Down, c’erano i ragazzi del Pio IX, e c’eravamo noi di Eyes: tutti uniti, aldilà dei disagi fisici o sociali, dal piacere che dà la condivisione, qualunque condivisione. E così, per quello che potevo, ho voluto condividere anche la “scalata”.
Personalmente, ho sempre guardato l’Etna dal basso, da vie cittadine che si snodano e si proiettano verso quella cima maestosa che ho sempre ritenuto per me irraggiungibile. Poi come d’incanto mi sono ritrovata insieme a tanta gente nella piazza centrale del nostro istituto vEyes-Land, con lo zaino sulle spalle e pronta a seguire dei folli visionari rivolti, con il cuore e con le gambe, proprio a quella meta, alla cima del Vulcano. Indosso una maglietta gialla, sono appariscente, sono surreale, ma è una dimensione che mi fa sentire vitale, che mi fa sentire – per qualche strana ragione – che tutto è possibile, fosse anche per un attimo, un solo attimo. Urliamo tutti, a squarciagola: “One two three, vEyes four Yellow The Word”. Accompagniamo Dario e Anna nella loro missione, li seguiamo per un po’ e poi li lasciamo andare sicuri, con il loro zaino, verso la nostra amata Etna. Quella montagna che oggi fa meno paura e che è più accessibile, colorata di giallo.
Seguiamo la spedizione dalla nostra struttura, ad ogni passo di Dario ed Anna ci sembra di salire anche noi un pochino più su. Ho modo di ascoltare tanta gente e di confrontarmi. Le emozioni si rincorrono in un vortice senza fine. Sentiamo il peso dei nostri limiti e il desiderio di voler andare oltre. La montagna diventa puramente simbolica. Le sfide sono altre, sono nella nostra vita, nella quotidianità, sono nelle barriere che incontriamo tutti i giorni. Siamo tutti attorno ad un cerchio, ognuno davanti alla nostra meta, alla nostra cima. Non è importante arrivare, ma camminare, sapere che puoi farlo per guardare il mondo da una prospettiva diversa e con una profondità maggiore.
Abbiamo riso, amplificando le nostre goffaggini, le nostre stranezze, ipovedenti che si aiutavano fra di loro, inciampando e alzandosi, fidandosi l’uno dell’altra. Abbiamo pianto quando suor Antonella cercava di infondere forza ai suoi ragazzi, i ragazzi del Pio IX, soli e impreparati ai piedi della montagna, davanti ai loro grandi perché. Loro non si aspettano grandi cose, si aspettano concretezza da parte di noi adulti, vogliono sperare che in noi ci sia ancora qualcosa di sincero.
Abbiamo organizzato dei giochi, grandi e piccini a correre bendati, consapevoli di poter riporre fiducia nell’altro. Un momento magico e irripetibile. Eravamo tutti uguali, li, adesso, tutti diversamente abili e diversamente normodotati.
Sento di essere arrivata anche io metaforicamente sull’Etna, ho respirato l’aria e la fatica, ma anche la grande commozione di avercela fatta, osservando il mondo dalla struttura, insieme ai tanti ragazzi che ridevano e giocavano.