L'immagine mostra la visione alterata dalla riduzione del campo visivo

Io capisco non sia semplice comprendere ciò che non si vive in prima persona, soprattutto se non se ne ha alcuna familiarità. Ma ho sempre creduto che la miglior soluzione dovesse comunque essere spiegare, spiegare ed ancora spiegare. Senza timori e titubanza. Io non sono tra coloro che s’indispongono se non li si comprende, se li si giudica o gli si fa qualche battuta fuori luogo. E non perché io sia particolarmente buona. Per esperienza personale, che non si attiene esclusivamente e necessariamente al tema della disabilità, ho dovuto affinare presto le mie capacità intuitive, empatiche e riflessive.
La disabilità visiva ha molte sfaccettature e soggettività per cui è alquanto complesso darne un’esaustiva chiave descrittiva. Per cui proverò almeno a spiegare alcuni aspetti della mia personale “visione”.
Innanzitutto è bene chiarire la differenza fra visus, visione centrale della retina e campo visivo, visione periferica. Il visus ci permette di distinguere chiaramente volti e oggetti, il campo visivo di muoverci nello spazio intorno a noi. E la legge 138/01 prevede il riconoscimento legale di cieco parziale e totale anche in funzione del parametro del campo visivo, indipendentemente dal visus. Per cui, nel mio specifico caso, io sono riconosciuta legalmente cieca totale perché ho perso quasi totalmente il campo visivo periferico (ne conservo il 2%) pur mantenendo un visus corretto di circa 2 e 4 decimi. Questo mi consente di leggere, guardare il cellulare, riconoscere i volti e tutto ciò che rientra nel piccolissimo spiraglio di visione che ancora mi resta, come attraverso il buco di una serratura. Ma non mi consente di scorgere ciò che ne è al di fuori (sopra, sotto e lateralmente), pure fosse un elefante al mio fianco, a meno ch’io non volti continuamente la testa in tutte le direzioni. E questo compromette gravemente autonomia e mobilità. Infatti sono costretta ad utilizzare il bastone per non vedenti ogni qualvolta io debba uscire dal mio ambiente familiare e non vi sia nessuno che possa accompagnarmi sotto braccio.
Ed ho molte altre difficoltà, di cui ho spesso parlato, mi sfuggono sfumature simili di colore, non percepisco chiaramente i contrasti se non ben delineati, la luce del sole mi abbaglia e mi procura dolore, dal crepuscolo e in condizioni di scarsa luminosità divento praticamente cieca perché i miei fotorecettori faticano a sfruttare la luce residua che ad un normovedente basterebbe.
Io ammetto di essere piuttosto social, pubblico video in cui suono al pianoforte, pensieri personali e fotografie. Non limito la mia espressività creativa in virtù di una disabilità vincolante e ostile. Ed ultimamente ho postato sui social network un video in cui riuscivo a risolvere il famoso cubo di Rubik. Ha suscitato molti e graditi apprezzamenti, ma anche altrettante e comprensibili perplessità e critiche.
Perplessità, perché per molti è appunto difficile comprendere come un cieco legale possa svolgere tale attività, non essendo a conoscenza magari di leggi specifiche (138/01) né della distinzione fra visus e campo visivo. Così ho colto l’occasione per spiegare come io possa riuscirvi, anche se in condizioni particolari. Ossia adeguata luminosità per poterne distinguere i colori e continua mobilità fra le dita per poterlo riconoscere in ogni sua parte, visto che non riesco a vederlo per intero. Ma con il giusto allenamento e molta passione sono riuscita a risolverlo in breve tempo.
E critiche, per aver mostrato una capacità che potrebbe far dubitare della mia condizione visiva e dare adito a sospetti di falsa cecità. E questo è per me un nodo cruciale. Ho impiegato molto tempo, dall’infausta ed inattesa diagnosi, ad accettare e convivere con la mia disabilità e ad oggi riesco ad uscire col mio bastone in autonomia, ed a compiere tutti quei gesti che il visus residuo ancora mi consente. Non è stato facile perché ho dovuto superare dubbi, pregiudizi e diffidenza. Ma ho sempre creduto di dover spiegare e spiegare e ancora spiegare, con comprensione, pazienza e disponibilità. E questo mi ha permesso e mi permette tutt’ora di camminare a testa alta e senza remore perché non ho timore di mostrare ciò che posso e non posso fare.
Io davvero mi auguro che si riescano a raggiungere alti livelli d’informazione, empatia e sensibilità perché nessun disabile, qualsiasi sia la natura della sua disabilità, debba sentirsi escluso o emarginato in questa società sempre più tecnologica ma a volte distante e fredda, e debba limitare le proprie possibilità e capacità per timore del giudizio, della malafede, della diffidenza, dell’ignoranza o della derisione altrui.
Siamo tutti esseri umani ed abbiamo il diritto di esprimerci nel pieno delle nostre potenzialità fisiche, psichiche ed emotive. Senza ulteriori vincoli che non siano strettamente connessi alla nostra patologia e che comunque tecnologia e supporto umano non possano arginare.

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