Il conflitto israelo-palestinese è una delle questioni più scottanti al mondo, che è stata capace di dividere due popoli a tal punto da volersi sterminare l’uno con l’altro senza pietà. La diplomazia internazionale lavora da anni con l’obiettivo di raggiungere un accordo di pace che metta fine al conflitto con la creazione di due stati, che vivano fianco a fianco in pace e sicurezza, corrispondenti rispettivamente all’attuale stato d’Israele da una parte e a Cisgiordania e Striscia di Gaza dall’altra.
Tra le varie cause scatenanti troviamo gli insediamenti ebraici in Cisgiordania, il tempio biblico degli ebrei di cui rimane soltanto il muro del pianto e la questione di Gerusalemme, terra santa. Al giorno d’oggi si cerca di trasmettere un messaggio di pace e di solidarietà nei confronti di entrambe le popolazioni, che giorno dopo giorno stanno patendo questa guerra lancinante e che devono pagare, spesso con la vita, il prezzo di un’ingiustizia che perdura ormai da anni. Un artista che si è distinto nel parlare di questa tematica attraverso il testo di una sua canzone è Ghali.
Nel corso della sua carriera artistica si è sempre battuto per cause sociali, a tal punto da arrivare, dal non, ad avere un’influenza sociale tale da ricevere l’approvazione di più di 6 milioni di persone. La denuncia velata attraverso la sua musica porta tutti noi a riflettere e a rimuginare su quanto la nostra opinione possa essere potente su scala mondiale. Ognuno dentro di noi ha un’energia che in qualche modo riesce ad essere emanata e sprigionata a dovere solo se la persona in questione ha veramente intenzione di spendersi per una causa. La dedizione è ciò che serve per lanciare un messaggio così grande ad un pubblico così immenso in un festival in diretta mondiale. Dovremmo essere tutti un po’ come Ghali: un po’ folli dentro, al punto tale da fare ricevere alla RAI un comunicato stampa direttamente dall’ambasciatore d’Israele. Questo vuol dire farsi sentire ed imprimere la propria voce e il proprio solco sul cemento, arrivando addirittura dall’altra parte del mondo, senza scrupoli, senza vergogna né timore. Egli è la voce di tutti noi giovani, stanchi e amareggiati dal sentire parlare sempre di conflitti, sulla striscia di Gaza come in tutto il resto del mondo, dal vedere la gente che muore di fame, vivere per strada ed implorare per un pezzo di pane al fine di sopravvivere, dall’omertà collettiva nei confronti di episodi di razzismo e discriminazione, dal sentire il dolore e compatirlo, soffrendo insieme per un mondo malato che ha bisogno di essere curato, dalla cattiveria, dal menefreghismo dei potenti. Il vero interrogativo che dovremmo veramente porci è cosa possiamo fare noi, nel nostro piccolo, per cambiare tutto questo. Un nostro contributo, seppur infinitamente, piccolo può essere estremamente significativo per l’umanità, per il nostro mondo. Siamo le gocce di un mare in tempesta e noi tutti abbiamo la possibilità di ribellarci e dire no.
No alla guerra, no allo sfruttamento e no alla diversità. Riusciremo a mandare un messaggio di uguaglianza, pace e supporto soltanto se riusciremo ad essere uniti e ad essere consapevoli di cosa siamo e di cosa possiamo fare insieme. Come dice un vecchio detto cinese “水滴石穿”, che significa “goccia a goccia si scava la roccia”, impariamo ad ascoltarci gli uni con gli altri, abbassiamo le barriere piuttosto di alzare muri insuperabili. La società può guarire e può migliorare soltanto se iniziamo a lavorare su noi stessi. Non scordiamoci mai che siamo noi a comporla ed in quanto tali abbiamo il dovere di cambiarla. Siamo una forza, non dimentichiamolo. Ponendo le nostre menti in riflessione, ripensiamo a tutti quei momenti in cui avremmo potuto fare qualcosa ma non l’abbiamo fatto per paura, rancore o invidia. Cambiamo la nostra percezione delle situazioni e dimostriamo, ieri come oggi, che vogliamo migliorare veramente le cose. Basta menzogne, lamentele inutili e parole al vento. Nel cuore di chi sente questo sentimento di rivalsa, c’è un amore abbastanza forte da sovrastare qualsiasi tipo di guerra e angheria.
Tratto dal testo “Casa mia” di Ghali:
“Ma come fate a dire che qui è tutto normale
Per tracciare un confine con linee immaginarie bombardate un ospedale
Per un pezzo di terra o per un pezzo di pane
Non c’è mai pace…”
Non mi sento tanto bene, però
Sto già meglio se mi fai vedere
Il mondo come lo vedi tu
Non mi serve un’astronave, lo so
Casa mia o casa tua
Che differenza c’è? Non c’è
Ma qual è casa mia?
Ma qual è casa tua?
Ma qual è casa mia?
Dal cielo è uguale, giuro