È periodo di festività e dovrebbe anche essere sinonimo di svago, spensieratezza, gioia e serenità. Ma è un periodo anche molto difficile. Trascorrerlo in compagnia di una pandemia mondiale ci sta caricando addosso pesi che dovremmo poter lasciar scivolare via, almeno in questi giorni. Paura, ansia, insicurezza, rabbia, dolore. Eppure tutto ciò che ci circonda continua a ricordarci che dobbiamo stare attenti, indossare mascherine, disinfettarci continuamente, mantenere le distanze, anche dai nostri cari, proprio nei giorni in cui vorremmo stargli più vicini, condividere i pasti e colmarci di baci e abbracci. Certo, i familiari e gli affetti più stretti ci saranno comunque vicini, ma dovranno in molti rinunciare ai fasti e alle affollate feste a cui erano abituati, alle immense tavolate, ai giochi e alle risate delle grandi compagnie. Saranno festività diverse. Diverse anche nei cuori. Dove amare significherà proteggere, tenendo le distanze. Fortunatamente la tecnologia potrà soccorrerci ed allora queste distanze potranno ridursi con chiamate, videochiamate, riunioni virtuali. Quasi fossimo nella stessa stanza, allo stesso tavolo. Ma sarà anche riscoprire quell’intimità, quella spiritualità, quel senso di famiglia che, nel caos di un’esistenza frenetica, vengono spesso messi all’angolo, impolverati e dimenticati, quasi fossero sempre pronti ad esser riscoperti, e non è poi così ovvio ritrovarli, soprattutto così com’erano. Ma che sono il fulcro stesso, l’essenza più vera e profonda, del nostro stesso vivere. Sempre che vi siano amore, armonia e rispetto, altrimenti sarebbe come ritrovarsi in una vera prigionia. Ma questa è tutta un’altra storia.
Forse, però, non ci si accorge di quanti disabili vivano condizioni di isolamento, fisico e sociale, al di là di questo particolare periodo. Ed ancor più in questo in cui la rete sociale che li assiste e sussiste è limitata da vincoli e restrizioni. Condizioni indotte spesso dalla falsa credenza che certi desideri, esigenze e difficoltà, siano solo capricci o bisogni non essenziali. False credenze di coloro che non vivono e condividono la stessa difficile e dolorosa esperienza di vita. Cosi il disabile si ritrova a doversi districare in un intricato labirinto di burocrazia, barriere architettoniche, pregiudizi, indifferenza, diffidenza e ostilità. Che aggrava la percezione e la condizione della propria disabilità e l’isolamento, fisico e sociale, che ne deriva.
Questo dovrebbe far riflettere su ciò che per molti è ormai ovvio, sostrato inconscio della propria esistenza, ossia libertà e autonomia, che per altri sono invece alacre sforzo e tortuosa conquista. Dovrebbe far riscoprire la solidarietà, il rispetto e l’empatia che troppo spesso si risvegliano prepotentemente solo quando certe paure e difficoltà divengono anche, e soprattutto, intime e personali.
E ciò non accade solo in merito al tema della disabilità, ma anche per ciò che concerne le condizioni di vita di popoli lontani, che certe restrizioni di libertà, difficili condizioni economico-sociali, la paura della malattia e della morte le vivono quotidianamente sulla loro pelle. Eppure sembra quasi che, da quando ci si ritrovi in questa temibile pandemia mondiale, tutto questo sia quasi svanito, mai esistito o estremamente distante dalla mente e dal cuore. Esistiamo solo noi, con le nostre paure e le nostre difficoltà di popolo civilizzato e tecnologico alle prese con qualcosa che è molto più grande di noi. E allora si discute di festeggiare o non festeggiare, di orari di messe, di responsabilità proprie e altrui, di aperture e chiusure di attività, di restrizioni troppo blande o troppo severe, di rispetto dei morti, della sofferenza altrui, di tutela dei diritti, delle scuole, della crisi economica. Senza mai trovare un comune e responsabile accordo. Come se prima avessimo avuto pace, salute e prosperità in ogni angolo del mondo. La verità è che spesso ci provoca empatia e solidarietà ciò che ci tange davvero personalmente e intimamente.
Allora forse dovremmo davvero approfittare di questo forzato ridimensionamento delle nostre aspettative e priorità, della nostra libertà e spiritualità, per riscoprirci umani, per davvero. Per comprendere che al di là di una disabilità o di un confine, con una lingua, una cultura e una religione differente, battono cuori come i nostri, con emozioni come le nostre, paure come le nostre, sogni e speranze come i nostri, o forse molto più semplici e umili. Come un pasto caldo, un letto comodo, una casa accogliente, una famiglia unita.
E allora cos’è la vera spiritualità del Natale se non la condivisione di emozioni e intenti, di beni e conoscenze, di credi e tradizioni. Alla luce di stelle che hanno il nome di speranza, solidarietà, empatia e rispetto. Sotto quell’unico cielo che ci vede fratelli.