Il tema della disabilità ha molti volti e sfumature e i confini con la cosiddetta “normalità” o tipicità sono talvolta labili, sottili e incongruenti. Tipicità fisica e psichica che è frutto di un’idealizzazione statistica ed epidemiologica socio-culturale, comune e condivisa. Ed è questo il caso delle neurodiversità. Termine coniato dalla sociologa australiana Judy Singer nella sua tesi di laurea del 1998. Ricerca basata sulla sua esperienza personale poiché essa stessa neurodiversa, con caratteristiche appartenenti allo spettro autistico, come la madre e la figlia. Ha valorizzato e sottolineato le qualità e le risorse delle persone neurodiverse, i loro modi atipici di imparare, pensare ed elaborare informazioni, considerandole naturali variazioni genetiche della nostra specie.
Il “Neurologicamente diverso” rappresenta per lei un’integrazione alle più familiari categorie sociali di classe, genere, sessualità e sarà funzionale allo sviluppo di innovative intuizioni nell’ambito della disabilità e dei suoi modelli di riferimento.
Oggi il significato del termine neurodiversità si è esteso e comprende un gruppo di caratteristiche cognitive diverse da quelle considerate tipiche, quindi più comuni e frequenti in natura. Esse comprendono l’Autismo e la sindrome di Asperger (ASD-SA), l’Alto Potenziale cognitivo (APC), il Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD), i Disturbi Specifici dell’apprendimento, quali dislessia, disgrafia e discalculia (DSA), e la sindrome di Tourette. Le persone che presentano queste caratteristiche atipiche sono oggi definite neurodiverse. Esse evidenziano notevoli differenze con le persone neurotipiche nei modi di comunicare, socializzare, comprendere, apprendere, pensare e percepire, ma hanno altresì maggiori probabilità di eccellere per intelligenza artistica, attenzione al dettaglio, capacità visuo-spaziali, abilità informatiche e molto altro, secondo le personali caratteristiche specifiche.
Anche le variazioni genetiche o diversità visive e/o uditive potrebbero essere considerate alla stregua delle neurodiversità, in quanto comportano lo sviluppo atipico, ed in questa società deficitaria di strutture, organi e caratteristiche sensoriali. Però determinano anche l’acquisizione di maggiori abilità nei sensi con sviluppo tipico, quali tatto, olfatto e gusto, e la nascita di nuovi percorsi neurali e sinapsi, alternativi e integrativi che arricchiscono l’individuo d’intelligenza, risorse e creatività.
Le variazioni o mutazioni genetiche sono il tassello fondamentale nell’evoluzione della biodiversità, intesa come differenziazione biologica tra gli individui di una stessa specie, in relazione alle condizioni ambientali, e coesistenza in uno stesso ecosistema di diverse specie animali e vegetali che crea un equilibrio grazie alle loro reciproche relazioni. D’altronde vantaggio e svantaggio hanno sempre avuto connotazione ed appartenenza specifica e relativa, condizionata da fattori mutevoli e talvolta precari.
Neurodiversità e diversità visive e/o uditive sono dunque da considerarsi reali disabilità, vi è reale necessità di sussidi, sostegno, accudimento e cura? O sono un costrutto socio-culturale, frutto di pregiudizi e preconcetti, di deficit socio-culturali, di rigidi e obsoleti modelli cognitivo-comportamentali, in una società costruita a immagine e somiglianza di una presunta, condivisa e sopravvalutata tipicità?
Anche la famiglia ha un ruolo fondamentale nell’educare alla conoscenza, al rispetto, all’acquisizione di autostima e abilità, al superamento di preconcetti, pregiudizi e barriere fisiche e socio-culturali. Ma se neurodiversità e diversità visive e/o uditive si ritrovassero in uno stesso nucleo familiare? Probabilmente vi sarebbero al proprio interno più comprensione ed empatia, sostegno e affinità, complicità e rispetto, nonostante le inevitabili divergenze fisiche e comportamentali. Ma anche maggiori svantaggi e difficoltà nel relazionarsi in un contesto esterno, sovraccarico di barriere fisiche, psichiche e socio-culturali, che troppo spesso ghettizza, emargina, sottovaluta, umilia, calpesta. In una società ancora lontana dal comprendere che diversità è sinonimo di evoluzione, crescita, sviluppo e che soltanto da una reale integrazione e da un drastico cambiamento di atteggiamenti, modelli e schemi socio-culturali e cognitivo-comportamentali è possibile concretizzare il realizzarsi di una società più sana ed evoluta. Che non miri ad un’opportunistica disgregazione, una spietata competizione e un’egoistica prevaricazione, ma a una reale integrazione, un’altruistica condivisione e una leale valorizzazione della diversità come presupposti per un futuro a misura d’individuo, di ogni specifico individuo. Unico, importante e insostituibile individuo.