Nel numero di novembre 2017 del nostro Magazine (fai clic qui per visualizzare l’articolo) avevamo visto in dettaglio la protesi subretinica Alpha AMS, mettendo a confronto questo dispositivo con quello, ben più famoso e diffuso, della californiana Second Sight, Argus II. Intorno alla suddetta protesi, tra l’altro, l’entusiasmo si era notevolmente alzato lo scorso anno, dalle nostre parti, grazie al primo impianto eseguito in Italia presso l’Unità di Oculistica dell’Ospedale “San Raffaele” di Milano, diretta dal professor Francesco Maria Bandello, su di una donna di 50 anni che aveva perso la vista all’età di 25 anni a causa di una retinite pigmentosa.
Purtroppo, da un paio di settimane, sul sito internet di Retina Implant AG, l’azienda tedesca a cui si deve la paternità di tale progetto, è apparso un messaggio che annuncia la chiusura delle attività. Il messaggio recita che gli azionisti, nel corso di una riunione straordinaria indetta il 19 marzo 2019, hanno deciso di sciogliere la società. Le ragioni alla base di tale decisione, sempre secondo quanto riportato sul sito dell’azienda, vanno ricercate in un clima ostile nei confronti dell’innovazione, riscontrato in gran parte del continente europeo, innovazione fortemente ostacolata dalla rigida normativa dei sistemi sanitari. Inoltre, nonostante tutti i pazienti che hanno ricevuto l’impianto abbiano percepito come positiva l’esperienza con Alpha AMS, i risultati (continua il messaggio) non hanno soddisfatto le aspettative (non è ben chiaro se a lamentare tale insoddisfazione siano gli azionisti o gli stessi pazienti).
Lasciano riflettere le due affermazioni conclusive, sempre riportate sul sito, ovvero che l’azienda dispone di adeguate risorse finanziare che gli consentiranno di chiudere l’attività in modo responsabile e che il lavoro di ricerca sulle protesi retiniche, con molta probabilità continuerà nell’ambiente universitario senza il loro coinvolgimento. Dunque, questo lascia intendere che alla base non vi siano difficoltà economiche dell’azienda, ma soprattutto che all’interno di Retina Implant AG c’è ancora chi crede nella qualità del progetto, visto che si lascia una porta aperta alla strada intrapresa, almeno nel mondo accademico.
Mette davvero parecchia tristezza la consapevolezza che sempre più progetti del genere vengano dismessi non tanto per difficoltà economiche o per carenze tecnologiche e cliniche da parte di chi decide di spendersi sul campo (i medici e gli esperti messi all’opera da Retina Implant AG hanno lavorato duramente al progetto per ben 16 anni), ma soprattutto per la sempre maggiore rigidità della normativa che, con l’intento dichiarato di voler tutelare i pazienti, finisce di fatto per ostacolare fortemente la ricerca scientifica. A conferma di ciò, va detto che anche all’interno di vEyes abbiamo subito forti ritardi, o blocchi per lunghi periodi, in progetti quali, ad esempio, il Registro Web vEyes RNP. Anche nel nostro caso, le cause vanno ricercate proprio nella rigidità di procedure legislative. Infatti, sebbene dal punto di vista tecnologico il tutto sia pronto da tempo, abbiamo dovuto superare (e stiamo ancora tentando in tutti i modi di trovare una soluzione) i grandi ostacoli imposti dalla normativa, in materia di tutela dei dati personali e di consenso informato, che devono essere sotto la supervisione di un Comitato Etico, con una intensa tra i vari Comitati delle strutture esterne coinvolte, quando (come nel caso del nostro progetto), i pazienti fanno capo a differenti centri clinici. Per carità, non è mia intenzione sollevare alcuna critica in tal senso. Giusto che vi sia una tutela, ma ci verrebbe da chiedere come mai la stessa normativa consenta, ad esempio, senza eccessive difficoltà, a miriadi di call center, di bombardare il nostro quotidiano con continue telefonate ed innumerevoli proposte commerciali delle quali nessuno di noi ha mai preventivamente chiesto dettagli, o autorizzato contatti per gli approfondimenti. Certo, tali call center riescono spesso a raggirare il problema, in quanto le telefonate partono da nazioni dove la normativa locale non impedisce affatto di procedere in questa modalità. Ma, allora, non sarà che nel tentativo vano di provare a tutelare la nostra privacy stiamo finendo per imbrigliarci da soli, ostacolando la nostra stessa crescita, a danno di paesi dove tale “lungimiranza” non è, al momento, nemmeno lontanamente presa in considerazione?