Una delle attività svolte nel contesto del progetto “Vediamoci chiaro” è relativa ad incontri tenuti nelle scuole medie, durante i quali mostriamo ai ragazzi quali siano le potenzialità di strumenti tecnologici oramai quotidiani, quali gli smartphone, quando l’utilizzatore è, ad esempio, un loro coetaneo non vedente, spiegando come sia possibile riconoscere oggetti, colori o leggere testi, attraverso le applicazioni progettate e sviluppate da vEyes. In parallelo, poi, li mettiamo in guardia a proposito delle insidie che lo stesso strumento può nascondere, nemmeno troppo dietro l’angolo, affrontando temi quali il cyberbullismo o il sexting. Ma è quando affermiamo che utilizzando semplicemente uno smartphone riusciamo a diagnosticare alcune malattie agli occhi di un bambino, salvandone la vista o perfino la stessa vita che, nonostante il loro essere nativi digitali li porti ad immaginare applicazioni sconfinate a questi meravigliosi strumenti, ci rivolgono sguardi tra l’incredulo ed il perplesso.
Per comprendere come si sia arrivati a tanto, occorre fare un passo indietro: era il 27 maggio del 2014 quando ricevetti una e-mail da Cecilia Mattavelli, vicepresidente dell’Associazione Cataratta Congenita (ACC) onlus. Aveva saputo di me e del progetto vEyes attraverso uno dei tanti articoli pubblicati da testate giornalistiche che iniziavano ad interessarsi al lavoro da me svolto insieme a tanti splendidi studenti dell’Ateneo catanese. Nella e-mail, Cecilia mi parlava del loro impegno verso la sensibilizzazione e la diffusione del test del riflesso rosso nei reparti di neonatologia, o tra i pediatri, e mi chiedeva se ero a conoscenza di sistemi che consentissero di effettuare tale test in modo accessibile alle stesse famiglie, consentendo loro di rilevare eventuali anomalie, potendosi così rivolgere allo specialista in modo mirato, solo in caso di esito positivo.
vEyes è nato con l’intento di occuparsi soprattutto delle distrofie retiniche ereditarie e di chi ne è affetto, mentre la missione di ACC ruota intorno ad un’altra patologia rara: la cataratta congenita, della quale le statistiche ci dicono esserne affetti un bimbo ogni 2.000-2.500 nati. Ma la cosa che mi colpì maggiormente fu il venire a conoscenza che un test tanto semplice, per nulla invasivo, che può salvare la vista ad un bimbo attraverso una diagnosi precoce, non era obbligatorio nello screening neonatale e che la stessa ACC raccoglieva tante famiglie che avevano scoperto tale patologia, nei loro bimbi, nei modi più disparati e solo di rado attraverso un protocollo clinico. Sapere che si poteva evitare che un bimbo diventasse non vedente e non fare nulla in tal senso, mi mandava su tutte le furie! Alla e-mail di Cecilia, seguì una lunghissima conversazione telefonica con il dottor Mazzi, presidente di ACC, oggi caro amico personale, oltre che di vEyes. Fu così che presi l’impegno di lavorare alla realizzazione di un sistema che potesse consentire di effettuare il test del riflesso rosso semplicemente attraverso l’utilizzo di uno smartphone, iniziando una attività prima progettuale, poi di sviluppo e test, grazie al sostegno economico della stessa ACC ed al lavoro di tanti studenti, con in testa il dottor Andrea Caruso (che a tale progetto ha iniziato a lavorare come tesi di laurea specialistica in informatica, senza aver ad oggi mai smesso a ben due anni di distanza dal completamento degli studi).
Quali sono state, dunque, le ragioni di una tale scelta in un certo senso fuori target? Intanto il desiderio di voler estendere la missione di vEyes ad altre patologie invalidanti della vista, avendo sempre e comunque i bambini al centro di tali attenzioni, ma soprattutto una considerazione fondamentale: una diagnosi tardiva sulla cataratta congenita, porta inesorabilmente la retina del bimbo ad atrofia, con perdita irreversibile del visus. Nel caso delle patologie di cui ci occupiamo in vEyes, invece, non è ad oggi disponibile alcun metodo efficace che possa se non far ritornare la vista a chi l’ha persa, quanto meno interrompere l’aspetto degenerativo della stessa malattia, preservando il visus residuo. Questa nuova “sfida”, ci metteva nelle condizioni di poter, invece, salvare la vista a tanti bimbi, gratificandoci, ma soprattutto dandoci la carica per continuare a combattere anche la nostra difficile battaglia. Inoltre, attraverso il test del riflesso rosso è possibile diagnosticare la presenza di un retinoblastoma, il tumore maligno con maggior diffusione in età pediatrica. In questo caso la diagnosi precoce ci consente di salvare perfino la stessa vita al bimbo che ne è affetto.
I nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) hanno finalmente introdotto dalla fine dello scorso anno l’obbligo di effettuare il test del riflesso rosso alla nascita. Sicuramente un grande passo, ma non sufficiente a ridurre il problema, in quanto spesso i sintomi della patologia (ovvero l’opacità di uno o di entrambi i cristallini) non sono presenti già alla nascita, ma si manifestano settimane o mesi dopo. Stesso discorso va fatto per il retinoblastoma. In virtù di tali considerazioni, il grande lavoro portato avanti per redEyes, cuore del progetto vEyes RRE (Red Reflex Examination) non solo non risulta vano, ma ha assunto oggi un valore ancora più importante in quanto, se da una parte i LEA hanno finalmente messo in moto un sistema di controlli, dall’altro tanti specialisti si sono resi conto di quanto effettuare in modo corretto il test, in un neonato, abbia la stessa difficoltà dello scalare una montagna (giusto per citare le parole del prof. Nucci). In tal senso, dunque, redEyes è diventato uno strumento appetibile perfino agli stessi specialisti, in quanto è sufficiente una frazione di secondo per “catturare”, in un fotogramma, l’occhio di un bimbo e poter effettuare il test, potendo perfino disporre di una foto da refertare, come si farebbe in un qualsiasi esame di diagnostica per immagini. Il tutto senza trascurare un dettaglio non di poco conto, ovvero il non dover ricorrere ad alcuna somministrazione di farmaci per far dilatare le pupille, dal momento che tale azione preventiva, con redEyes, non è affatto necessaria.
Dallo scorso mese di marzo abbiamo iniziato la sperimentazione grazie alla collaborazione della clinica oculistica del Policlinico di Catania (diretta dal prof. Avitabile) ed al prezioso supporto della dottoressa Gagliano, della dottoressa Amato e di tutto il personale sanitario in servizio presso l’Ospedale Santa Marta di Catania. Da tale sperimentazione stanno emergendo tanti spunti interessanti ed al progetto si stanno avvicinando anche altri laureandi come Agnese Pellegrino, che porterà avanti un lavoro importante intorno a redEyes, come tesi di laurea in ortottica ed assistenza oftalmologica. Al momento abbiamo testato il sistema con bimbi di età non inferiore ai 30 giorni, ottenendo ottimi risultati, ma a breve inizieremo la sperimentazione proprio con i neonati. Inoltre, sempre al fianco dell’Associazione Cataratta Congenita, organizzeremo presto altre sessioni di test in varie parti d’Italia, oltre ad eventi all’insegna sì della prevenzione sui bimbi, ma anche della sensibilizzazione e dell’aggregazione con chi vive una missione che oggi mi sento, impropriamente ed in piccola parte, di considerare anche mia e di vEyes.