La foto mostra un esempio di utilizzo dell'Optacon

Le motivazioni personali che hanno portato il sottoscritto a fondare il progetto vEyes (virtual Eyes) nel 2012, poi diventato la omonima onlus dalla quale è nato anche il centro non-profit vEyes Land, sono ben note, dal momento che diverse testate giornalistiche se ne sono occupate negli anni. Tra le tante attività, in vEyes progettiamo e sviluppiamo ausili tecnologici per persone con disabilità visiva, da rilasciare in modalità open, con una mission che è un mix tra l’innovazione e la follia: “realizzare l’alternativa open al mercato degli ausili per persone con disabilità visiva”. In molti considerano vEyes qualcosa di straordinario, fuori dal comune. In realtà, se si prova a guardare al passato, di storie simili se ne trovano anche altre ed altrettanto importanti, se non addirittura di più.
Per esempio, basti pensare al professor John Linvill, docente di ingegneria elettrica alla Stanford University dalla metà degli anni ’50 del 1900 in poi. La figlia Candy, nata nel 1952, all’età di 3 anni perse del tutto la vista. È stato proprio questo evento ad indurre il professor Linvill a progettare e realizzare l’optacon (acronimo che sta per OPtical to TActile CONverter). L’idea gli venne durante un anno sabbatico trascorso in Svizzera. Fu in quel periodo che decise di recarsi nella vicina Germania per visitare i laboratori IBM. Osservando i minuscoli martelletti di una stampante ad aghi, mentre assumevano la forma dei caratteri da battere sul nastro preinchiostrato, in modo da imprimerli sulla carta, pensò che se fosse riuscito a far in modo che quelle forme si toccassero con le dita, avrebbe consentito alla figlia di leggere libri non ancora trascritti in Braille. E questo a partire dalla stessa immagine del testo scritto sulla pagina del libro.
Una volta ritornato a Stenford, il professor Linvill sviluppò l’idea insieme ad alcuni suoi studenti laureandi, o post-laurea, tra cui Alonzo e Hill. Senza voler entrare in dettagli tecnici, l’optacon consta di due parti: una unità centrale grande più o meno quanto un walkman (qualcuno di voi se li ricorda ancora?) alla quale è collegata, attraverso un cavo sottile, una telecamera più o meno delle dimensioni di un coltellino tascabile. L’unità centrale contiene una matrice tattile con 6 x 24 punti, di fatto molto simile a quella che Linvill aveva osservato nelle stampanti. Su tale matrice il non vedente andrà a poggiare il dito di una delle due mani, mentre con l’altra muoverà la piccola telecamera sulla pagina scritta della quale si vuole leggere il testo. Le immagini verranno così trasmesse all’elettronica dell’unità centrale e convertite in segnali elettrici in grado di far vibrare solo i piccoli martelletti metallici corrispondenti alle parti nere di quanto inquadrato dalla camera (nel caso del testo, dunque, vibreranno solo i martelletti corrispondenti alla forma del singolo carattere). Il dispositivo è dotato di una manopola in grado di regolare l’intensità della vibrazione ed un’altra attraverso la quale regolare il contrasto tra le parti chiare e quelle scure nelle immagini inquadrate. Inoltre, è presente un interruttore che permette di indicare se le immagini debbano essere interpretate come stampa scura su sfondo bianco, o viceversa.
Grazie all’optacon, la figlia del prof. Linvill è stata in grado di laurearsi sempre a Stenford e conseguire il proprio PhD, lavorando successivamente come psicologa clinica. Quando fondai vEyes non conoscevo questa storia. La scoprii diversi mesi dopo. In quei momenti la mia attenzione era focalizzata esclusivamente verso il trovare una soluzione ad un problema che mi toccava in prima persona, attraverso la malattia di mia figlia. Immagino che il professor Linvill avrà vissuto lo stesso tipo di condizione mentale, se da una semplice stampante in azione è arrivato a concepire l’optacon. Per tale ragione non mi preme sottolineare tanto le similitudini nelle storie (che comunque ci sono), quanto piuttosto la determinazione che deve sempre portare a non fermarsi mai davanti ad un problema, cercando sempre e comunque una soluzione. Più di tutti è questo aspetto che ritengo debba essere colto quale elemento comune.
L’optacon è stato prodotto e distribuito dalla Telesensory Systems Inc. nella californiana Silicon Valley, dal 1971 fino al 1996, anno in cui venne annunciato che non sarebbe stato più prodotto e che si sarebbe garantita l’assistenza solo fino al 2000. In seguito a tale annuncio molti utenti acquistarono optacon usati, con l’intento di cannibalizzarli per prelevarne parti di ricambio.
Purtroppo l’optacon non ha avuto grande successo, sebbene ancora oggi molti non vedenti ne facciano uso. Probabilmente una delle cause di tale scarso successo va ricercata nell’utilizzo di quella che è la notazione usata dai vedenti, al posto del Braille. Ancora oggi è piuttosto aperto il dibattito tra chi considera il Braille l’unico strumento di cui far uso per leggere e scrivere e chi, invece, prova ad introdurre metodologie differenti, magari attingendo proprio alle cosiddette “notazioni in nero” quale fonte di ispirazione. Personalmente ritengo che non vada sottovalutata l’importanza del Braille, ma che contemporaneamente non vada mai dimenticato che tale sistema di notazione è nato per un uso ben preciso: codificare e decodificare testo. E, sebbene non di semplice ed immediato utilizzo, svolge benissimo tale compito. Ma provare ad estendere questa tecnica ad altre notazioni, con molta probabilità fa correre il rischio di rendere accessibile l’utilizzo a pochi, considerata l’elevata complessità, oltre a rendere difficile la comunicazione tra vedenti e non vedenti, pur parlando della stessa cosa. Un esempio? La notazione musicale, gestita attraverso il Braille, è forse troppo distante dalla notazione in nero, contribuendo di fatto, con molta probabilità, a rendere complicate le attività didattiche tra docente e discente, nei casi in cui uno sia vedente e conosca solo la notazione in nero, mentre l’altro sia non vedente, senza aver mai avuto alcun approccio con la notazione musicale se non attraverso il Braille. La notazione in nero, per esempio, è di tipo posizionale, il che significa che lo stesso simbolo grafico assume significati differenti a seconda della posizione che occupa all’interno del pentagramma. Questo è un concetto che in Braille non esiste. Così come nelle alterazioni momentanee, la posizione precede sempre la nota alla quale esse fanno riferimento, cosa anche questa differente dal modo in cui lo stesso concetto viene gestito in Braille. In casi come questo, se il vedente dovesse provare a chiedere al non vedente di controllare il simbolo che precede la nota, otterrebbe solo il risultato di portarlo fuori strada, dal momento che non è quello il modo in cui in Braille verrà gestita l’alterazione.
Che piaccia o no, dunque, conosco non vedenti che sono stati in grado, proprio attraverso l’optacon, perfino di studiare l’aramaico antico. Cosa che sarebbe stata del tutto impossibile attraverso l’uso del Braille. Per tale ragione, forse, chi ha deciso con troppa leggerezza di fare fuori questo ausilio, avrebbe fatto bene a valutare attentamente tale scelta di mercato. Purtroppo, però, non sempre le logiche di mercato vanno d’accordo con le esigenze dei disabili ed in vEyes, andando avanti con i nostri progetti, ne siamo sempre più consapevoli! Ma questa è tutta un’altra storia…

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