L'immagine mostra il direttore e i musicisti di un'orchestra

Approda alla sua seconda puntata, in questo numero della nostra rivista, la pubblicazione di un “diario” sulle riunioni tenutesi a Roma nei primi giorni dell’anno in corso per discutere e avviare la costituzione della vEyes Orchestra, ensemble nel quale saranno inseriti strumentisti con disabilità visiva. E proprio in questa seconda puntata si svelano più dettagli di un progetto che scalda cuori e menti…

È il 3 gennaio. Ci mettiamo al lavoro di buon mattino. Il tempo è poco. Già a metà pomeriggio Maria dovrà ripartire. L’8 gennaio la aspetta un esame di diritto tributario, un vero osso duro: deve prepararsi a dovere per il match. Nella situazione in cui siamo, un musicista in più o in meno cambia sensibilmente gli equilibri del gruppo: per questo dobbiamo approfittare il più possibile della presenza di Maria, finché può essere dei nostri. Dopo la colazione, giusto per rientrare “in partita” riprendiamo il canto del Dona nobis pacem. Ma ben presto passiamo a una sfida ben più ambiziosa. Finora non abbiamo ancora parlato di concerti, date, brani da eseguire e in effetti forse sarebbe prematuro. Al momento ciò che conta più di tutto è porre le basi dell’ensemble. Il resto, forse, verrà. Però intuiamo che qualche idea nell’aria già c’è. Luigi ci parla del concerto per tre clavicembali (oggi spesso eseguito da tre pianoforti) Bwv 1063 di Bach. Socchiudiamo gli occhi e per un istante ci lasciamo trasportare dall’immaginazione: i tre giganti a coda sul palco e l’orchestra tutta intorno, la cascata di armonie che si rincorrono, l’intesa sublime tra gli strumenti, quell’indicibile connubio di concretezza terrena e tensione verso l’alto che Bach, forse più di qualunque altro musicista, ha saputo raggiungere. Questo potrebbe essere uno dei brani da eseguire in concerto. Decidiamo di provare ad “annusare” le parti d’orchestra, per farcene un’idea in attesa di studiarle più approfonditamente. A parte Maria, tutti dovremo studiarle a memoria. E non sarà uno scherzo.
Con pazienza, Elisabetta suona una a una le nostre parti, cominciando dall’incipit del primo movimento. Le difficoltà si fanno sentire quasi subito: infatti, se per le parti estreme (violino primo e basso continuo) il gioco è relativamente semplice, per quelle interne (violino secondo e viola) la memoria è chiamata a sforzi da rompicapo, perché le frasi sono poco tematiche e tendono a somigliarsi una con l’altra. Luigi ci dà indicazioni e suggerimenti pratici, guidando la nostra attenzione, aiutandoci a capire che cosa ascoltare. Un po’ come orientarsi di notte, cercando il Gran Carro e la Polare. Lorenzo si lancia in una dissertazione teoretico-metafisica sull’importanza del “sapere sempre dove sei all’interno della partitura e capire il tuo posto in base a quello degli altri”. Al termine di questa trattazione in perfetto stile Gigi Marzullo, non si evidenziano apprezzabili passi in avanti.  Per trovare il bandolo, iniziamo a contare quante volte il tema principale (seppur esposto in diverse tonalità) compare all’interno del primo movimento. Così scopriamo che in alcuni casi la riproposizione dell’incipit è accompagnata da piccole variazioni: il materiale sonoro è chiaramente quello di partenza, ma di tanto in tanto il compositore si diverte a giocarci e lascia cadere sul tavolo qualche minima novità. Per noi tutto questo significa fatica, fatica e fatica. Però è anche un’opportunità. È come guardare la partitura “in sezione”. Un lavoro così minuzioso ci costringe ad accorgerci di quanto Bach sia sorprendente: non c’è mai nulla di scontato e di meccanico. Ogni parte è pensata, curata: ogni singola nota è stata scelta e amata. Vengono in mente quelle cattedrali con centinaia di statue, fregi e decori meravigliosi, compresi quelli che chi guarda dal basso mai potrà vedere e che tuttavia sono lì, perfettamente al loro posto. Sarà una sfida non da poco, ma è impossibile non restare affascinati da questa musica. Antonello ci ascolta con gli occhi agli appunti di diritto. Anche Massimiliano, il paziente tessitore, ci ascolta, senza lasciarsi scoraggiare dalle nostre frequenti battute d’arresto. A fine mattinata abbiamo tutti il cervello pieno di note. Serve uno stacco.
A pranzo andiamo a mangiare in un vicino ristorante, gestito da una famiglia di napoletani, dove la cucina è di quelle memorabili. I primi e i secondi sono stellari, ma la vera chicca (per chi è abbastanza temerario da volercisi avventurare) è la pastiera, il dolce tipico della Pasqua, che però, con sorpresa, qui possiamo gustare anche in questi giorni di festività natalizie. Come se non bastasse, quando rientriamo all’istituto delle Orsoline, troviamo ad aspettarci Riccardo ed Elena e scopriamo che lei ha preparato per noi dei deliziosi biscotti: il nostro incontro musicale sta prendendo una piega decisamente godereccia.
Ma ora è il momento di scoprire le carte. Siamo di nuovo tutti assieme, nella stanza col pianoforte a coda. Massimiliano ci racconta il suo sogno, che ora sta diventando anche il nostro. Questo sogno in parte esiste già, in parte prenderà vita nel corso dei mesi e degli anni.
Il “sogno madre”, così potremmo definirlo, si chiama vEyes ed è un progetto nato nel 2012 per migliorare la vita delle persone con disabilità visiva, usando la tecnologia. Massimiliano, che è un ingegnere e docente universitario, ha personalmente lavorato alla progettazione di prodotti informatici e ausili indossabili. Dal progetto è nata, nel 2014, un’associazione senza fini di lucro, che ha esteso i suoi interessi anche alla realizzazione di strumenti di supporto per ricerche mediche, biomediche, bioinformatiche e genetiche.
Magnifico, ma che c’entra la musica con tutto questo? La musica c’entra sempre e questa volta in modo particolare. Massimiliano (che scopriamo essere anche pianista e autore di musical) sogna di costituire un’orchestra nella quale si possano inserire strumentisti con disabilità visiva. Anche Luigi immaginava da anni qualcosa del genere. Una coincidenza, il destino (o perfino qualcosa di più, per chi ci crede) li ha fatti incontrare alcuni mesi fa. E un passo alla volta, con tenacia, la loro idea sta iniziando a prendere concretezza. È un sogno ambizioso, che si muove in terreni pressoché inesplorati. Al momento bisogna riconoscere che la “materia prima” è piuttosto scarsa. Tradizionalmente, infatti, le persone con disabilità visiva che si avvicinano alla musica vengono avviate allo studio del pianoforte, perché si ritiene che questo sia il solo strumento compatibile con la loro condizione.“Così almeno potranno esibirsi da solisti e non avranno il problema di suonare in orchestra”. Più in generale, va rilevato che, dopo la chiusura degli istituti per ciechi, il tema dell’educazione musicale è stato molto trascurato, anche dalle associazioni a tutela dei disabili visivi. Oggi il panorama è piuttosto sconfortante: si parte dal “quasi deserto” per costruire qualcosa. Consapevole di questo, il team di vEyes intende realizzare un centro per la formazione musicale di ragazzi con disabilità visiva. Il luogo esiste già: è uno splendido complesso immerso nel verde, sulle pendici dell’Etna, che l’associazione, proprio in virtù del suo impegno, ha ricevuto in gestione gratuita da un ordine religioso. Il posto è incantevole, ma la struttura deve essere in parte ristrutturata e arredata per divenire un vero campus. Una volta terminati i lavori, il complesso si chiamerà vEyes Land e ospiterà, accanto alla formazione musicale, anche numerose altre attività riabilitative. Il campus sarà il vivaio dell’orchestra di domani. Probabilmente ci vorranno anni, ma da lì un giorno potrebbero uscire musicisti capaci di suonare (e magari, nella più rosea delle prospettive, perfino di lavorare) in un’orchestra. Forte, no?
Ah, a proposito di orchestra, ecco un’altra obiezione molto comune. “Ma come fate a suonare a tempo e andare insieme se non potete vedere i gesti del direttore?”. Massimiliano ha una risposta anche per questo. È infatti in via di sperimentazione un ausilio indossabile capace di convertire i gesti della bacchetta del direttore in impulsi sonori trasmessi agli esecutori, però non in cuffia, ma attraverso un sistema di conduzione ossea, che lascia libere le orecchie e quindi non distoglie dalla musica. Sembra parecchio complicato, al limite del fantascientifico, però è un’idea intrigante. E magari funziona.
E ora veniamo a noi: l’atto costitutivo della vEyes Orchestra dovrebbe avvenire a luglio, durante un grande concerto da organizzare nello splendido anfiteatro Lucio Dalla di Milo (Catania). Per l’occasione, viste le condizioni di partenza, si potrebbe pensare a una formazione mista, nella quale esecutori con disabilità visiva siano affiancati da musicisti vedenti. “In ogni caso – su questo punto Massimiliano e Luigi sono categorici – l’attenzione non sarà concentrata sulla disabilità. Ciò che ci interessa è che voi possiate esibirvi come musicisti. Punto e basta”. Il programma è ancora tutto da studiare, ma nell’aria c’è già abbastanza adrenalina. Tanto per far aumentare ulteriormente le pulsazioni, Massimiliano ci rivela che sta cercando di coinvolgere nel progetto alcuni grandi artisti. Fa il nome di un pianista jazz di fama mondiale (che qui non citiamo per scaramanzia). Pensare che lui possa diventare in qualche modo parte di questa storia sarebbe un sogno. Ma comunque vadano le cose, si prospetta un’avventura degna di don Chisciotte. Ora sappiamo un po’ di quel che c’è da sapere: non resta che rimetterci al lavoro, strumenti in mano.

Riprendiamo il corale di Bach, approfittando del ritorno di Riccardo e del suo sax. Il tempo passa in un baleno. A metà pomeriggio salutiamo Maria e Antonello: devono tornare a casa e ai loro studi. Li ringraziamo, dandoci appuntamento a data da destinarsi (ma comunque non troppo distante). Poco dopo scopriamo che anche Marica è costretta a ripartire, a causa di un imprevisto. È dispiaciuta, lo siamo anche noi. Restiamo un po’ frastornati. E adesso che si fa? Intanto ringraziamo Marica per essere stata con noi in questi giorni e speriamo di rivederla, anche se modi e tempi saranno tutti una scommessa. Un po’ come le prossime ore, che dovremo inventare. Dopo la cena (tanto per non smentirci, in stile romano-napoletano) c’è ancora tempo per un briefing/brainstorming. Facciamo qualche ipotesi circa organico orchestrale e repertori praticabili. Cerchiamo di farci venire in mente qualche amico da coinvolgere (che sia un po’ svitato, però, altrimenti non accetterebbe mai una follia del genere). Altri musicisti con disabilità visiva potrebbero diventare parte della squadra: due violoncelli, un contrabbasso, un flauto (ma è in forse), un fagotto? (ancora più in forse). Ci scambiamo idee e proposte finché la suora addetta alla portineria si affaccia timidamente alla porta del salottino in cui è in corso l’assise. “Scusateci, ma è mezzanotte passata. Dovremmo chiudere”.
Mezzanotte passata? Nessuno se n’era accorto. È ora di andare a dormire. Altra giornata molto intensa.

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