Medicina

COVID, I NUOVI FRONTI CHE ALLARMANO

Timori per le varianti inglese, sudafricana e brasiliana del virus | Ecco un identikit delle tre mutazioni che angosciano il mondo

In queste settimane l’allarme Covid è aumentato in tutto il mondo, tenuto conto delle tre mutazioni note che hanno destato timori e preoccupazioni alla comunità scientifica. Da quando il virus Sars-Cov-2 ha fatto la sua comparsa, sono state registrate migliaia di varianti ma mai come in queste settimane appunto l’allarme si è accresciuto in tutto il pianeta. Tra tutte, a destare forti timori sono le varianti inglese, sudafricana e brasiliana, contro le quali si sta cercando di capire quali vaccini possono funzionare o meno. A preoccupare di più, tra queste, nel nostro Paese è la variante inglese, poiché sembra che una ricerca lampo condotta dall’ISS abbia già individuato un caso su 5 in Italia, prevedendo entro 5-6 settimane il “dominio” totale di questa variante.  Ecco un identikit delle tre varianti:

Variante inglese
È la prima ad aver allarmato la comunità scientifica per le numerose alterazioni a livello genetico che la caratterizzano. Si chiama B.1.1.7 e, secondo gli scienziati, ha avuto origine nel Sud-Est dell’Inghilterra. Le alterazioni che caratterizzano questa variante sarebbero almeno ventitré, quattordici delle quali localizzate sulla proteina spike, la “chiave” d’ingresso del virus nella cellula. Stando alle osservazioni degli studiosi, questa variante presenta maggiori capacità di legarsi al recettore ACE-2 umano e, pertanto, rende più semplice la propagazione del virus. I primi dati indicano che probabilmente è più contagiosa e che quindi potrebbe aumentare la letalità ma non è ancora chiaro se per il maggior numero di contagiati o per la maggiore gravità intrinseca per gli individui più fragili quali i bambini. In ogni caso, sembra possa essere neutralizzata dagli attuali vaccini anti-Covid. Dai primi studi, infatti, emerge che i vaccini Pfizer, Moderna e Astrazeneca funzionino contro questa particolare variante.

Variante sudafricana
Si tratta della versione “501.V2” di Sars-CoV-2, individuata i primi di ottobre. Pare abbia iniziato a dominare molto rapidamente il Sud Africa. I dati genomici ed epidemiologici suggeriscono che, come per la variante inglese, anche questa sudafricana sia più contagiosa ma non più pericolosa. Nel complesso, la variante conta ventuno mutazioni, nove delle quali concentrate nella spike. I vaccini attualmente disponibili sembrano perdere di efficacia contro questa variante (è della settimana scorsa l’annuncio in tal senso di AstraZeneca), tranne quello prodotto da Moderna.

Variante brasiliana
È la variante B.1.1.28, riscontrata più recentemente in un caso di reinfezione: un’infermiera quarantacinquenne si è ri-ammalata con questa nuova variante 5 mesi dopo essersi ripresa da una precedente infezione causata da un ceppo più vecchio. Nella seconda infezione i sintomi della donna sono peggiorati. Questa variante contiene mutazioni preoccupanti perché, una in particolare, cambierebbe la forma della proteina spike all’esterno del virus in un modo che potrebbe renderla meno riconoscibile al sistema immunitario, rendendo più difficile il compito degli anticorpi. Si sta ancora studiando se questa variante può rendere inefficaci gli attuali vaccini e i risultati preliminari sono poco incoraggianti.

Inglese, brasiliana e sudafricana sono quindi le tre varianti del virus che l’ISS sta monitorando dagli ultimi mesi del 2020. Queste mutazioni sono state segnalate anche nel nostro Paese in diverse regioni: l’alta carica virale di questo ceppo suggerisce, tuttavia, una maggiore contagiosità, come ribadisce l’OMS: “non ci sono prove chiare che la nuova variante sia associata a forme di malattia più gravi o a esiti peggiori”.

“Quella inglese – introduce il professor Paolo Rossi – è una delle tantissime varianti che sono state identificate, perché più si sequenza questo virus e più varianti troveremo. Il meccanismo con cui è stata individuata questa variante non ha nessun impatto sulla patogenicità del virus ma essendo più trasmissibile, anche i bambini saranno colpiti di più”, spiega a “Il Bo Live” il professor Paolo Rossi, direttore del dipartimento Pediatrico universitario-ospedaliero dell’ospedale Bambino Gesù di Roma e docente di Pediatria all’università Roma Tor Vergata, che esprime comunque cautela rispetto all’ipotesi che i bambini si infettino meno rispetto agli adulti. Secondo Rossi è molto importante accelerare l’introduzione del vaccino anche tra i più giovani “perché è un loro diritto” e “perché se non includiamo anche la fascia in età pediatrica, non raggiungeremmo mai quella copertura dell’80% che serve per ottenere l’immunità di gregge”.

Per concludere, ritengo che il sistema più efficace per affrontare le varianti sia studiare nuovi vaccini, anche se Moderna, Pfizer e Astrazeneca, pare (come detto) siano efficaci contro la variante inglese e vaccinare tutti nel più breve tempo possibile.

Linda Musumeci

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Linda Musumeci

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