Vediamoci chiaro

IL MIO NUOVO CINEMA PARADISO 2.0

Intervista al piccolo, grande Totò Cascio | protagonista del capolavoro di Tornatore

Quante vite crediamo di aver vissuto. Quante ancora ne possiamo vivere, interpretare, sognare e raccontare. Quante volte ci siamo sentiti persi e poi improvvisamente ritrovati. Quante altre volte abbiamo fatto scelte e vissuto esperienze che hanno cambiato drasticamente il corso della nostra vita o abbiamo creduto fosse la fine e invece era soltanto un nuovo inizio.

Ho il piacere e l’emozione d’incontrare lui che di vite ne ha vissute e interpretate davvero tante.

Salvatore Cascio, detto Totò, è il bambino protagonista di “Nuovo Cinema Paradiso”, indimenticabile capolavoro di Tornatore e premiato con l’Oscar come miglior film straniero nel 1990, Cascio ha anche ricevuto il premio BAFTA nel 1991, il più giovane artista a ricevere il prestigioso riconoscimento. Partecipa inoltre a un altro importante film con Tornatore, “Stanno tutti bene”, e ad altri prestigiosi film con registi del calibro di Pupi Avati e Duccio Tessari. Nel 2014 è tra gli interpreti di “Protagonisti per sempre” di Mimmo Verdesca, vincitore al Giffoni Film Festival come miglior documentario, in cui racconta esperienze e scelte della sua carriera e vita di attore bambino. Quest’anno pubblica il suo primo libro “La gloria e la prova, il mio Nuovo Cinema Paradiso 2.0″, sue memorie cinematografiche e racconto di formazione e rinascita. Da cui è tratto il progetto “A occhi aperti”, il cortometraggio che racconta la sua storia, trasmesso su RaiPlay.

1) Qual è l’esperienza professionale che ha avuto maggior risalto nella tua vita?
L’esperienza professionale che porto ancora nel cuore e mi ha dato maggior risalto è la partecipazione come protagonista al film Nuovo Cinema Paradiso. Sono stato scelto da Tornatore quando andavo in terza elementare, tramite una selezione fotografica e dopo un paio di provini, avevo solo otto anni ed è stata un’esperienza indimenticabile. Il successo, i viaggi, le nuove esperienze le ho sempre vissute come un gioco, un divertimento che però coinvolgeva gli adulti e perciò doveva essere affrontato anche con serietà e coscienza. Ricordo un evento in particolare perché ha drasticamente cambiato la mia vita, l’Oscar assegnato proprio al film di Tornatore, Nuovo Cinema Paradiso, divenuto il mio biglietto da visita, da allora e per sempre. Un risultato straordinario, quindici anni dopo l’ultimo vinto dall’Italia, addirittura con Amarcord di Fellini. Anche se non fui subito consapevole della portata di quell’incredibile avvenimento.

2) Adesso sappiamo che sei affetto da retinite pigmentosa, è ciò che ha influito sul tuo allontanamento dal mondo cinematografico?
“Meritavi di più. Peccato che il mondo del cinema ti abbia dimenticato.” Questo ritornello mi ha assediato per oltre un ventennio. Sviavo perché la verità era, ai miei occhi, troppo complessa, privata e dolorosa. Temevo una reazione di compatimento e commiserazione. Non ho voluto condividere con nessuno ciò che stavo vivendo, soprattutto col progredire della malattia. Non volevo mettere in difficoltà nessuno, nemmeno me stesso durante le riprese, né essere compatito. Così compresi che dovevo fermarmi. Rifuggivo anche alle occasioni pubbliche e ai riflettori perché il mio disagio interiore e le mie difficoltà visive non trapelassero in alcun modo.

3) Come hai scoperto di essere affetto da retinite pigmentosa e come ti ha aiutato la tua famiglia?
Avevo otto anni quando ho capito di avere problemi visivi, la maestra si accorse che per leggere ciò che era scritto sulla lavagna dovevo avvicinarmi molto. Mi sottoposi a numerose visite, ma la diagnosi arrivò solo in seguito, in un centro svizzero in cui il medico la riferì ai miei genitori in maniera diretta e quasi brutale, retinite pigmentosa con edema maculare. Disse che col tempo avrei perso la vista. In principio hanno provato senso d’impotenza e sofferenza, ma non si sono mai arresi e mi hanno portato dai migliori specialisti, anche se ad oggi esistono solo terapie sperimentali e nessuna reale cura. La mia famiglia dunque è stata fondamentale, i miei genitori mi hanno sempre sostenuto e incoraggiato. Ho con la mia famiglia un legame molto forte, con alti e bassi come tutti, ma basato su affetto e reciproca stima.

4) Come sei riuscito ad accettare la malattia e quale percorso hai seguito, hai avuto altro supporto oltre quello familiare?
Riuscire a parlarne è stato un percorso lungo e doloroso e solo di recente ho ritrovato serenità ed entusiasmo, dopo aver metabolizzato la mia condizione ed esserne diventato realmente consapevole. Anche attraverso un percorso di psicoterapia, consigliatomi da un amico non vedente. E attraverso la fede, che ha avuto un ruolo fondamentale, in un percorso armonico e complementare con la psicoterapia. Oggi, quando prego, sento la pace e la presenza divina. Credo in Dio e negli angeli e penso di averne incontrati tanti ed io potrei esserlo stato per altri. La mano di Dio è farci trovare nel posto giusto al momento giusto per poter fare del bene. Inoltre sempre su consiglio di un amico sono stato per circa un anno all’istituto Cavazza di Bologna, percorso benefico seppur impegnativo, che mi ha permesso di integrarmi con persone affette dalla mia stessa patologia. Così ho finalmente raggiunto maggiore consapevolezza, sicurezza e finalmente la mia autonomia. Oltre a costruire nuove e importanti amicizie. E quando ho finalmente accettato la mia malattia naturalmente è cambiato tutto. Ecco perché è ripartita anche la mia vita professionale.

5) Dopo l’allontanamento dalla cinematografia com’è proseguita la tua vita?
Mi sono diplomato, ma con fatica perché nascondevo il mio problema visivo e la necessità d’aiuto. Ho lavorato poi nel supermercato di famiglia. Avevo perso la gioia di vivere e la mia innata spontaneità e mi ero isolato dal mondo del cinema e sociale. Così calava la vista e la mia autostima. La consideravo una prova del Signore, ma non riuscivo ad accettarla. La vivevo come una colpa, un tabù che alimentava il mio complesso d’inferiorità.

6) Quali sono le tue condizioni visive attuali, sei a conoscenza di ricerche mediche che potrebbero migliorarle e quali speranze nutri per il futuro?
Attualmente vedo solamente luci e ombre e non riesco a mettere a fuoco ciò che provo a osservare. Naturalmente spero e credo nella ricerca perché accettare non significa rassegnarsi, infatti sono seguito al centro di Napoli tramite la fondazione Telethon, che finanzia la ricerca per trovare una cura alle malattie genetiche rare. Per anni ho seguito con ansia l’evolversi della medicina alla ricerca di possibili cure. Ora so che la meta non è lontana, esistono sperimentazioni con buone prospettive di successo, come la retina artificiale. Ma ho smesso serenamente di aspettare e, se e quando si troverà una cura, lo sarà per l’umanità ed io sarò felice di usufruirne come un meraviglioso dono.

7) Come nasce l’idea del libro, qual è l’argomento trattato e il suo scopo?
Avevo da tempo il desiderio di scrivere un libro autobiografico, ma non avevo il coraggio di parlare anche della retinite pigmentosa. Quando ho metabolizzato e finalmente accettato la mia malattia è cambiato tutto. L’argomento trattato nel mio libro è la gloria, cioè tutti i film che ho realizzato, gli aneddoti e i momenti più entusiasmanti che ho vissuto in quegli anni. Poi parlo anche della prova, cioè la retinite pigmentosa, perché si possa trovare il coraggio per rinascere e ripartire. E dunque nella speranza che possa essere d’aiuto a chi come me ha avuto difficoltà nell’accettare la malattia e che sia d’implicito incoraggiamento, come lo sono stati altri personaggi influenti per me. Volevo essere utile, divulgando la mia esperienza, per far comprendere che ciascuno ha una propria diversa abilità e la disabilità non è un disvalore, ma ciascuno ha l’onere e l’onore di tramutarlo in valore e abilità.

8) Col senno di poi, quali consigli daresti a chi dovesse scoprire di essere affetto dalla tua stessa patologia?
Non so se posso dare consigli, ma secondo me è meglio offrire la propria testimonianza con il coraggio, la consapevolezza e la fede. Ho raggiunto la maturità attraverso il dolore e adesso vivo una gioia che senza di esso non avrei potuto trovare e provare. Il dolore non dovrebbe essere nascosto né ci si dovrebbe vergognare di piangere o chiedere aiuto. Ciò non è sinonimo di debolezza bensì di grande coraggio. E non so se posso insegnare qualcosa, ma so di aver ritrovato la gioia di vivere e imparato ad amare i doni dell’esistenza, a trasformare in amore anche le mie carenze e a dedicarmi a fare del bene, condividendo energia positiva e ottimismo. Ho trasformato il disagio in armonia, la paura in coraggio e la rabbia in gioia di vivere.

9) Qual è il tuo rapporto attuale con la retinite pigmentosa e come è cambiato nel tempo e con le esperienze?
Ci sono stati non giorni, ma anni in cui le mie ore trascorrevano nell’attesa della notte. Non vedevo l’ora di chiudere i conti con la veglia, desideravo che il giorno terminasse per poter dormire e sognare. Perché quando sognavo, vedevo. Vedevo bene. Accettazione è fare i conti con i propri strumenti per poterli utilizzare in modo proficuo, e superare i propri limiti con coraggio e determinazione. Spesso è necessario toccare il fondo e sperimentare dolore e disperazione per poter risalire e ripartire. Ho vissuto una vita in cui ho sperimentato la gloria, gli anni dei successi cinematografici, e questa è la vita di cui mi sono riappropriato dopo aver affrontato la prova, vissuta con fatica e dignità. Ho ritrovato la leggerezza di quel bambino che sorrideva d’innata spontaneità e che adesso da adulto sorride delle sue antiche paure.

10) Quali sono i tuoi progetti futuri in ambito professionale e in cosa speri?
Ho tanti sogni e progetti per il mio futuro che spero di poter realizzare, passo dopo passo. Intanto vorrei continuare con la promozione del mio libro, girare le scuole e soprattutto parlare con tanti ragazzi. Credo molto nella comunicazione, nella testimonianza e nei buoni esempi, credo siano la base per poter trasmettere con efficacia e sensibilità un messaggio di speranza. Inoltre, dopo le prime interviste in cui ho parlato apertamente della mia malattia, mi ha contattato la fondazione Telethon e Rai Cinema per la realizzazione di un cortometraggio per raccogliere fondi a favore della ricerca sulle malattie genetiche rare. Così è nato il progetto “A occhi aperti”, il cortometraggio che racconta la mia storia, trasmesso su RaiPlay.

“Totò aveva smesso di essere bambino, era diventato drammaticamente uomo. Ma senza perdere la purezza e l’innocenza del suo modo di vedere le cose. Al contrario, il non poterle più vedere rendeva il suo sguardo oltremodo puro e consapevole, gli regalava il dono di saper guardare lontano, con gli occhi della mente e del cuore”.

Di Giuseppe Tornatore, dalla prefazione del libro “La gloria e la prova” di Salvatore Cascio.

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Patrizia Faccaro

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Patrizia Faccaro

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