Mia figlia ha undici anni, guarda il telegiornale perplessa e poi, con la sua aria tra il dubbioso e il resoluto, esordisce dicendo: “Mamma, ma a che gioco stiamo giocando? Perché ci dicono ogni giorno una cosa diversa?”. In effetti sembrerebbe un gioco e come ogni bel gioco, c’è chi vince e chi perde, o chi alza bandiera bianca e si arrende.
Ma come fai a spiegare ad una bambina che mentre il mondo cade a pezzi, i grandi litigano? Già, i grandi, coloro che ti dicono quello che devi fare, i modelli da seguire, coloro che aspiri ad imitare, “gli adulti”.
Parlano, parlano, parlano, mentre tu cerchi di salvare il salvabile agli occhi di tua figlia. Vorresti riprendere i colori per disegnare quel meraviglioso sole che le illuminava il viso, ma sai che non basterebbe più. Guardando le immagini di questi ultimi giorni al telegiornale, politici contro politici, mentre la gente muore di Covid, di fame, mi sono scese le lacrime, anche io mi sono persa, persa nella tortuosa mente umana.
Ecco, allora, che ti vengono in mente le parole di Papa Francesco: “Il mondo che vorrei”. Potresti spiegarle il mondo da una prospettiva diversa. Dalla prospettiva di chi ama, di chi spera, di chi trasforma l’IO in NOI, superare la logica individualista per raggiungere la pluralità, la moltitudine.
Sì, possiamo litigare, esprimere il nostro dissenso, la nostra rabbia, solo se sappiamo fermarci, solo se rispettiamo comunque che dall’altro lato c’è sempre qualcuno che ha delle opinioni diverse dalle nostre. Non dovremmo anteporre la nostra logica personale sull’altro, il nostro interesse, altrimenti la lite diventa potere. Il potere non è costruttivo se non sa ascoltare, comunicare, rispettare l’altro.
Durante la prima pandemia, quando hanno chiuso tutto, ho avuto molta paura, non lo nego, ma ciò che mi spingeva di più ad andare avanti, era quell’amore universale che ci univa, quel credo patriottico che mi faceva commuovere. Ho immaginato i nostri nonni quando raccontavano la guerra, la fame, l’essenzialità. Già, quell’essenzialità che a noi mancava, quel ritorno alle origini, alla coscienza. Coltivare l’anima, un’anima che avevamo dimenticato, che io sentivo riecheggiare.
Oggi non nego di sentirmi sola. Se avessimo pensato solo un momento a ciò che realmente quei giorni hanno rappresentato, al grande privilegio che ci era stato donato, mentre altre vite ci lasciavano, oggi saremmo stati tutti diversi. Avremmo una coscienza.
C’era stata data la possibilità di fermarci, per conoscerci. Vedendo quelle immagini, quelle urla, ho capito che tutto quello che avevamo sperato era solo dentro di noi. Quell’inno, quella bandiera che sventolava nei balconi di ogni casa e che annunciava la primavera, era solo un misero sogno?
Coloro che hanno cambiato il mondo forse non hanno avuto bisogno di ostentare nulla, hanno mostrato semplicemente il cambiamento. Ce lo insegna chi è uscito fuori dalle macerie risorto, ce lo insegnano quelle frasi, quegli aforismi che anziché copiarli senza leggerli, dovremmo fare nostri: “Sii il cambiamento che vuoi vedere nell’altro”. Oggi, al Senato, quando è entrata Liliana Segre, si sono alzati tutti, uno scatto, un attimo che crea la differenza, quella differenza che ricordi perché si distingue, il cambiamento.
E allora sì, figlia mia, noi adulti siamo paradossali, grotteschi, drammaturghi, insegniamo la pace e poi propiniamo la guerra, diciamo di amare e poi odiamo, siamo dei sinonimi e dei contrari, ma siamo anche capaci di fare cose grandiose.
Ti rispondo citando Einstein: “Il mondo non sarà distrutto da quelli che fanno il male, ma da quelli che lo guardano senza fare nulla“.
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