Quando si parla di distrofie retiniche degenerative ereditarie, la prima cosa che viene in mente a chi ne è affetto, o a chi ha una persona cara con il medesimo problema, è il desiderio che si trovi una cura alle varie patologie appartenenti a tale gruppo. Ma anche “semplicemente” una soluzione che possa arrestare l’aspetto degenerativo, preservando quanto meno il visus residuo, ancora presente, al momento in cui avviene la diagnosi. Per quanti, purtroppo, il visus lo hanno già perso, la sola ancora di salvezza per un recupero di una qualche forma di percezione di immagini, è quella delle protesi visive, in gergo denominate anche “occhi bionici”. Ma è davvero chiaro a tutti quali siano, ad oggi, le potenzialità di tali sofisticati dispositivi? Si può davvero parlare di recupero di funzionalità visiva? E se sì, in che termini? In cosa consiste solitamente l’intervento chirurgico al quale sottoporsi e quali sono gli eventuali rischi? Chiunque può riceverne con successo l’impianto?
Questi sono solo alcuni dei mille interrogativi che si pongono (e ci pongono) le tante persone interessate al tema. Cercheremo di trattare l’argomento in modo semplice (per quanto possibile dalla complessità del tema, tanto dal punto di vista clinico, quanto da quello tecnologico), esponendo, a partire dal numero corrente della nostra rivista, i vari sistemi già in commercio o i progetti in stato avanzato di sperimentazione.
COME FUNZIONA LA VISTA
La protesi visiva maggiormente diffusa, al momento, è la protesi retinica Argus II della californiana “Second Sight”. Per comprendere come funziona, è necessario chiarire come il nostro occhio permette di beneficiare del senso della vista. La luce prodotta dalla scena visiva (ciò che intendiamo osservare), passa attraverso la pupilla, ovvero il foro posto al centro della zona che determina il colore dei nostri occhi, detta iride. Il diametro di tale foro varia, esattamente come il diaframma di una fotocamera, per dosare la quantità di luce che dovrà accedere fino alla membrana interna al bulbo oculare, chiamata retina. Tale membrana è, di fatto, il componente fondamentale del processo visivo. Se volessimo fare una analogia con le vecchie macchine fotografiche, diremmo che rappresenta la pellicola nella quale la luce andava ad imprimere quanto ripreso con l’obiettivo, sotto forma di negativo. Alla base della retina vi sono due tipi di cellule sensibili alla luce (per questo dette anche fotorecettori): i coni ed i bastoncelli. I coni sono delegati alla visione dei colori, quindi operano in condizioni di luce, ed essendo presenti principalmente nella zona centrale della retina, consentono anche la visione del campo visivo centrale, ovvero di ciò che sta dritto davanti ai nostri occhi. Al contrario, i bastoncelli consentono la visione in scarse condizioni di luce (quella che viene chiamata anche visione crepuscolare), non sono in grado di percepire i colori ed essendo soprattutto presenti nella zona laterale della retina, sono delegati anche alla visione del campo visivo periferico, cioè di quello che solitamente affermiamo di vedere con “la coda dell’occhio”. Sia i coni che i bastoncelli, sollecitati dalla luce, convertono tale stimolo in segnale elettrico (prodotto come conseguenza di reazioni chimiche) da trasmettere al nervo ottico, attraverso il quale giunge fino alla corteccia visiva (nella zona posteriore del nostro cervello) per dar luogo a quello che siamo soliti decodificare come il “vedere”. Tutte le distrofie retiniche degenerative portano, come sintomo principale, ad un cattivo funzionamento dei fotorecettori (quali, ed in che modo, dipende dal tipo di distrofia retinica di cui si è affetti). Ciò significa che allo stimolo luminoso inizia a non corrispondere più una corretta emissione di corrente elettrica, fino ad arrivare a totale assenza di segnale.
LA LOGICA DI ARGUS II
La protesi retinica Argus II prevede l’impianto di una micro matrice di elettrodi (per l’esattezza grande 10 x 6) a contatto con lo strato retinico interfacciato con il nervo ottico, in modo da poterlo stimolare elettricamente con questi 60 micro elettrodi. Il concetto che occorre comprendere è che alla stimolazione elettrica di uno dei puntini di questa micro matrice, andrà a corrispondere “la visione” di un puntino bianco. In buona sostanza, attraverso tale matrice, parte del sistema Argus II, posso indurre la “visione” di mini immagini grandi 10 x 6 puntini bianchi, su fondo nero. Ma come si determina quali elettrodi attivare? Il paziente che ha impiantato questa protesi, dovrà indossare un paio di occhiali sui quali è montata una piccola telecamera, collegata via cavo ad un mini computer da tenere in tasca. Questo computer elabora le immagini catturate dalla telecamera, ne estrapola le informazioni più importanti, le converte in una immagine da 60 pixel, trasmettendo in WiFi, tramite antenna, alla matrice impiantata a contatto con la retina, l’informazione su quali micro elettrodi attivare per la stimolazione. Volendo semplificare il processo, quindi, potremmo dire che la logica utilizzata è quella di chiedere di emettere una corrente elettrica agli elettrodi per i quali l’immagine da far percepire deve prevedere un puntino bianco, lasciando a riposo tutti gli altri.
LE CONDIZIONI NECESSARIE
Sulla base di quanto descritto, appare dunque evidente che il paziente deve avere il nervo ottico ancora funzionante, deve avere lo strato retinico a contatto con le terminazioni del nervo ottico ancora non in atrofia (lo strato retinico deve poter rispondere alla stimolazione elettrica), il che si identifica in un paziente che ha perso la vista per una distrofia retinica in età adulta (in genere dopo i 25 anni). L’impianto avviene attraverso un intervento chirurgico, in sala operatoria, in anestesia totale, della durata di circa 4 ore, necessario ad installare la mini matrice sullo strato retinico. Occorre, dunque, che il paziente sia in buono stato di salute, al fine di poter affrontare la suddetta procedura chirurgica, ma soprattutto è fondamentale che sia fortemente motivato e che abbia chiaro, fin dall’inizio, quali potranno essere i risultati ottenuti dopo un periodo di rieducazione alla nuova funzionalità visiva, che inizia circa 30 giorni dopo l’intervento e che richiede impegno e varie sessioni, necessarie a tarare il sistema e ad abituare il cervello alla decodifica degli stimoli elettrici indotti dalla protesi.
I RISULTATI CHE SI OTTENGONO
A regime, Argus II consente di individuare delle fonti luminose, delle sagome (purché in condizioni di contrasto bianco su nero o comunque chiaro su scuro) e di leggere caratteri di grandi dimensioni (almeno 2 cm). Non è noto se il surriscaldamento che solitamente è presente in un sistema di trasmissione di segnale WiFi, delle parti elettriche a contatto con la zona interna oculare, porti ad una qualche conseguenza nel tempo (quanto meno, non vengono segnalati casi in tal senso). Lo scopo del presente articolo, come detto, è semplicemente quello di informare senza giungere ad alcuna conclusione o suggerimento. Appare evidente come, attraverso Argus II, non si possa affermare che si arrivi ad un recupero della vista. Va detto però che, in alcuni soggetti, anche solo la percezione di luce, a livello psicologico, ha un impatto motivazionale di valore inestimabile. Figuriamoci il poter essere in grado di leggere in autonomia del testo, reso di dimensioni adeguate ad esempio attraverso un computer o un video-ingranditore. In quali casi, ma soprattutto in quali soggetti, il gioco possa valere la candela, rimane una considerazione assolutamente soggettiva.
LA PROSSIMA PUNTATA
Nel prossimo numero della nostra rivista continueremo sul tema, dedicandoci ad un’altra protesi retinica, ovvero Alpha AMS della tedesca Retina Implant (nata come evoluzione del precedente progetto Alpha IMS) che ha visto coinvolti 15 pazienti in un trial clinico durato circa 12 mesi e che, nel frattempo, in Germania, è già stata certificata come un dispositivo medico disponibile in commercio e rimborsabile dal Sistema Sanitario Nazionale.
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