Vediamoci chiaro

IL CUORE OLTRE GLI STECCATI

Se è un disabile a doversi prendere cura di qualcun altro | capita che l’handicap magari diventi una marcia in più…

Si sente spesso parlare di aiuto ai disabili. Supporto, sostegno, rispetto, solidarietà, inclusione. Ed è giusto, perché ancora molte sono le problematiche irrisolte, troppe le disuguaglianze ancora in essere, eccessivi i preconcetti e i pregiudizi, e insormontabili tutt’oggi le barriere architettoniche e i vincoli burocratici esistenti.
Ma se fosse un disabile a doversi prendere cura di qualcun altro? Già, perché il disabile lo è solo in specifici ambiti, in molti altri è più che abile. Seppur lo si associ talvolta all’inabilità assoluta.
Un classico esempio di pregiudizio riguarda il disabile visivo, proprio come lo sono io. Ho difficoltà alla vista, ma la mia mente, il mio cuore e il mio corpo funzionano ancora piuttosto bene. Allora perché talvolta ci ritroviamo esclusi dalle conversazioni e dai contesti decisionali? Perché gli interlocutori in tali circostanze preferiscono rivolgersi all’accompagnatore? Capita anche questo. Parlano di noi e con noi come non fossimo presenti o avessimo qualche disturbo mentale e non fossimo in grado di comprendere e decidere. Abbiamo certamente bisogno di supporto, ma non in tutto e costantemente. E forse allora sorprenderebbero la capacità, la determinazione, l’impegno e l’abilità nello svolgere le attività più disparate, che potrebbero sembrare a noi precluse. Fortunatamente oltre alle nostre doti fisiche, caratteriali e intellettive, un grande aiuto ci è oggi fornito dalla tecnologia, che ovvia alle diverse difficoltà che potremmo incontrare.
Avete mai riflettuto al concreto aiuto che un disabile visivo potrebbe dare in caso di seria malattia di un familiare? In caso, ad esempio, sia soggetto a ictus o incidente, in cui potrebbe ritrovarsi in ospedale e successivamente in casa con la necessità di essere assistito costantemente. Certamente il disabile visivo non potrà guidare l’auto per recarsi in ospedale, portare ciò che è necessario, sbrigare alcune pratiche e quant’altro, talvolta per l’evidente inefficienza organizzativa pubblica, ma potrà fare molto di più. Potrà gestire i contatti con l’ospedale e prendere, di concerto con il malato e i medici, le decisioni più importanti; potrà occuparsi degli aspetti burocratici (la tecnologia serve anche a questo), potrà assisterlo in ospedale, se gli sarà concesso (già, perché il disabile visivo impara in fretta ad orientarsi e ambientarsi), potrà dare supporto emotivo e psicologico, aspetto spesso fondamentale per una serena e più rapida guarigione. E, una volta tornato a casa, potrà accudire il familiare in un ambiente noto, protetto e confortevole.
È naturalmente importante il supporto di una rete solidale, familiare, amicale e sociale, per le questioni più pratiche, quali, ad esempio ed essenzialmente, l’essere accompagnati per spostamenti ed eventuali acquisti o pratiche. Un disabile visivo può certamente spostarsi da solo, ma i tempi si allungherebbero, dovendo utilizzare i mezzi pubblici e considerando le molte barriere architettoniche che ancora oggi deturpano le nostre città e ci complicano la vita. E può certamente fare acquisti o pratiche online, ma non per tutto è possibile o conveniente utilizzare questo metodo. E ovviamente è necessario ulteriore sostegno se si ha la responsabilità di minori, ma ciò avviene a prescindere dalle condizioni di salute dei familiari, e solamente per questioni logistiche, quali gli spostamenti in tempi brevi, modalità e situazioni particolari.
Un discorso diverso invece riguarda l’aspetto psicologico perché, se già la disabilità crea insicurezza, disagio e frustrazione, il doversi prendere cura di qualcun altro è un ulteriore gravoso e impegnativo carico. Lo è per chiunque. E richiede amore, pazienza, comprensione, sensibilità e dedizione. Spesso si è anche sottovalutati nel ruolo che si sta per assumere, si generano perplessità, diffidenza, apprensione e critica eccessive. E questa responsabilità, già particolarmente ostica e impegnativa, sembra divenirlo ancor di più. Si ha già la preoccupazione e il dispiacere per il familiare in difficoltà, la consapevolezza della propria condizione e dei propri limiti, ma ulteriormente gravati dalle aspettative, dai pregiudizi e dalle perplessità altrui.
Eppure basterebbe uno sguardo più attento, sensibile ed empatico per accorgersi che un disabile visivo riesce spesso ad adattarsi, più o meno facilmente, a trovare soluzioni alternative per ovviare alle difficoltà, riesce a svolgere molte attività in autonomia, grazie all’ingegno, all’impegno e alla tecnologia, riesce ad organizzarsi e a conquistare i propri spazi, proprio in virtù della disabilità.
E soprattutto, ed è forse questo l’aspetto fondamentale, riesce spesso a sviluppare l’empatia, la comprensione, la pazienza, la disponibilità e la sensibilità necessarie affinché si instauri con il familiare, bisognoso di cure e attenzioni particolari, un rapporto alla pari, di fiducia e complicità, di stima e rispetto, di amore e speranza, d’incoraggiamento e ottimismo. Proprio in virtù della disabilità che lo ha sempre posto nei recinti della fragilità, del bisogno, dell’inabilità, della dipendenza, dell’umiliazione, dei limiti, dei vincoli, della sottostima e della sottovalutazione.  A ruoli invertiti come potrebbe porsi diversamente? Quale miglior accudimento si potrebbe offrire? Quale miglior occasione per dimostrare le proprie reali abilità psichiche, fisiche, emotive e caratteriali. Per porle al servizio altrui. Magari anche in futuro e in altre circostanze. Ciò che la vita insegna, anche a caro prezzo, va interiorizzato, compreso e condiviso nella giusta prospettiva affinché possa essere anche per altri supporto, esempio, guida, conforto e incoraggiamento.

Patrizia Faccaro

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Patrizia Faccaro

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