Vediamoci chiaro

LA SCUOLA OLTRE LE MURA

Solo lacune per la “Generazione Covid” | o la Dad va vista anche come risorsa?

È una domenica mattina di gennaio 2021, ancora purtroppo in piena Pandemia da Covid-19, con un aumento dei contagi nella Regione Sicilia tale da far scattare la zona Rossa.
È la prima domenica in cui si percepisce uno strano malessere nell’ambito scolastico, negli studenti e nei genitori, ma anche nei docenti e in tutto il personale scolastico, compreso i Dirigenti, per l’Ordinanza Regionale che prevede un ritorno in classe per alcuni settori di Istruzione, in controtendenza con la fascia di appartenenza.
Se ci pensiamo, è dai primi di marzo 2020, quindi 10 mesi abbondanti, che la nostra vita, anche scolastica, ha subito grandi ripercussioni e cambiamenti e la stanchezza estenuante, logora le nostre giornate, fatte di pochi contatti, di pigiami e tazze da Tè, e soprattutto di connessioni virtuali che alimentano i rapporti reali che non riusciamo più a mantenere.
Nella “querelle” se la Dad sia scuola o meno, si perdono e si alimentano una miriade di post sui social, di dibattiti politici, di interviste TV, anche agli esperti, in cui le motivazioni degli uni e degli altri, si mischiano e creano molta confusione su cosa sia giusto o meno.
Ma da marzo scorso ad oggi, le motivazioni per fare la Dad sono legate sempre alla pandemia e all’indice dei contagi e questo è bene non dimenticarlo, altrimenti rischiamo di vivere in modo schizofrenico, illudendosi di ritenere la scuola il posto più sicuro.
La scuola mette in relazione una moltitudine di persone che vive in famiglia e che, nonostante le indicazioni governative, vive di relazioni oltre la scuola. Il virus circola come in qualsiasi altro ambiente, solo che nella comunità scolastica si vive 5/6 ore al giorno, in ambienti chiusi, piccoli e per la stragrande maggioranza non a norma di sicurezza e con numeri da 15 a 30 studenti di media.
Ma se da una parte si è estremamente convinti che la scuola sia comunità di persone, di cittadini, che per formarsi ha bisogno di relazionarsi nel concreto della realtà, e quindi deve essere presenza, dall’altra ci si rende conto che, mancando gli elementi per una sicurezza assoluta in presenza, dal trasporto, alle giornate vissute nelle aule, la Dad diventa l’unica alternativa possibile per potere svolgere l’Istruzione in tempi di Pandemia.
In questa diatriba, è proprio dell’altro ieri la sentenza del Tar Emilia-Romagna in cui hanno vinto i genitori nella richiesta di far rientrare i figli in presenza. Il Tar dell’Emilia-Romagna ha accolto il ricorso con richiesta di sospensiva urgente dell’ordinanza regionale che la settimana scorsa ha imposto il rientro in presenza delle scuole superiori il 25 gennaio. Dopo la sentenza del Tar della Lombardia, anche l’Emilia-Romagna, secondo il presidente del Tar, non poteva disporre la Dad al 100%, scavalcando di fatto la legislazione nazionale in materia.
Inutile dire che questa sentenza ha lasciato perplessi altri genitori, altri docenti e altri studenti, perché a fronte di quelli che protestano legittimamente davanti alle scuole, con tanto di striscioni e motivazioni per un ritorno in presenza, ci sono altri che comprendono bene che rimanere in Dad non significa non studiare e non produrre apprendimento in autonomia, in cui la guida del docente con le sue lezioni, è uno stimolo alla ricerca continua, all’autoformazione che lo studio richiede. Certo, bisogna sottolineare che esiste una fetta di alunni che ha difficoltà per problemi di connessione ed esistono i ragazzi con bisogni educativi speciali (Bes), per i quali il sostegno in presenza di adulti è essenziale all’apprendimento.
Però c’è da dire che i docenti hanno investito, lavorato molte più ore del previsto, per impostare una Dad a misura per le classi, perché dopo lo sbandamento iniziale, dettato dalla didattica in presenza, si era pure trovato un equilibrio e adesso il rientro al 50% produce ad alcuni il panico di dover iniziare in quella modalità che non è la scuola che hanno lasciato il febbraio scorso. È una scuola fatta di divieti, di mascherine che coprono il volto e lo asfissiano per 6 ore al giorno, in cui l’apertura delle finestre diventa obbligatoria, anche nel profondo nord con l’aria gelida dell’inverno. È una scuola in cui non è possibile stare vicini agli altri, lavorare in cooperative Learning, come hanno imparato, fare ricreazione nelle modalità consuete, ma si rimane seduti e bloccati sui banchi. È una scuola dove il laboratorio di informatica o qualsiasi altro laboratorio che richiede la sanificazione, non viene attuato, così come l’esposizione dei lavori in PowerPoint per le interrogazioni, non può avvenire se non con i propri mezzi personali. È una scuola dove lo stesso confronto con il docente, perno del rapporto docente-alunno, non può avvenire nella normalità, perché si è monchi di quella libertà di movimento e di “respiro” che permette la naturale bellezza dello stare insieme, dell’osservare i volti con le proprie espressioni e di agire dialetticamente.
Massimo Recalcati dichiara che gli adulti che non vedono di buon occhio la Dad, sono quei tipici «genitori contemporanei» che «vorrebbero escludere per i loro figli l’esperienza dell’ostacolo e dell’impatto aspro con il reale, la sofferenza e la frustrazione. Per questo essi oggi possono apprensivamente gridare al trauma, preoccuparsi di tutto il tempo irreversibilmente perduto dai loro figli, maledire le rinunce alle quali essi sono stati ingiustamente sottoposti. Ma in questo modo correranno l’inevitabile rischio di vittimizzare i loro figli e una intera generazione».
Questo, a mio avviso, è un grande problema perché questa generazione, ricordata come la “Generazione Covid”, rischia essere marchiata come quella “Generazione Dad” che non sarà preparata ad affrontare il mondo del lavoro e che porterà le lacune della mancata scuola in presenza.
Girano troppo spesso dei “meme” che deridono questa generazione che non merita questo trattamento.  Sostanzialmente perché non è vero. Molti di questi giovani, dovendo stare a casa, non potendo frequentare altre attività extracurriculari e momenti con gli amici, stanno dedicando allo studio molto più tempo di quello che avrebbero potuto dedicare in una società “iper connessa” che ha spinto più all’azione, al fare, che al pensare, al riflettere, a fare delle “sudate carte”, detta alla Leopardi, un vero valore. Lo scorso anno ho avuto studenti che in presenza faticavano a studiare e si imbarazzavano durante le interrogazioni, mentre in Dad, sono diventati molto più bravi e sicuri nell’esposizione, dedicandosi di più alle letture, mostrandomi i libri che avevano acquistato online.  Trovo personalmente molto grave che la classe Dirigente attuale,  che ha influito fortemente sulle scelte politiche, sui tagli alla Scuola e alla Sanità, che ha deciso di rendere questi giovani passivi consumatori di un mondo “iper tecnologico” e “capitalista”, adesso derida pubblicamente e critichi una generazione di giovani che non ha colpe per essersi ritrovata a subire una Pandemia che ha reso evidenti “i nodi al pettine” e addirittura strumentalizza le loro legittime esigenze di vivere le relazioni sociali e una scuola fatta di esperienze importanti, per pura propaganda elettorale.
Sulla Dad si sono espresse anche le Avanguardie Educative nel loro documento “La scuola fuori dalle mura”, dove la necessità della Dad potrebbe pure essere considerata una risorsa. Se pensiamo, infatti, ad altre generazioni che non hanno potuto usufruire della scuola, in caso di guerra o di disastri naturali, ci rendiamo conto che in fondo questi ragazzi, possono essere ritenuti fortunati.
Ecco perché, Recalcati – continua – «un’educazione basata sulla lamentela è deleteria». Occorre insegnare a essere critici, questo certamente, ma non a sentirsi sfortunati o meno formati. Occorre far capire che una Pandemia destruttura una società per cambiarne i “paradigmi” e questo è un processo lento che ha bisogno di adattamento.
Sono belli gli studenti che pretendono di rientrare in sicurezza nei locali scolastici e in questa rivoluzione-ribellione giusta vanno sostenuti, perché loro cercano coerenza in quegli adulti che blaterano di scuola e hanno tolto risorse e investimenti per l’edilizia, gli arredi e le tutele sulla sicurezza. Vanno incoraggiati, proprio perché loro sanno cosa significa fare scuola, esattamente come lo sanno gli insegnanti di cui nessuno parla e si occupa della loro frustrazione, della difficoltà di lavoro in queste condizioni. Gli adulti devono stare vicino ai giovani, spronarli a non mollare, ad accettare la Dad, non ad adagiarvisi come protezione dal mondo, ma vivere il momento presente come il più grande sacrificio e la più grande opportunità insieme, di potere mantenere quel filo sottile che è la relazione con quel mondo della conoscenza e dell’umanità che c’è in ogni volto dietro uno schermo, in ogni docente che con impegno trasmette il proprio patrimonio di sapienza.

Patrizia D'Amico

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Patrizia D'Amico
Tags: scuola

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