Vediamoci chiaro

L’IMMISURABILE MISURA DELL’AMORE

La dedizione del cuore fra normodotati e disabili | al di là degli stereotipi dietro cui ci nascondiamo

Si può misurare l’amore? Siamo in grado di amarci solo se normodotati, se sani? Ma cosa significa essere normodotato? Letteralmente, significa essere dotati di abilità normali, quindi nella media, oserei dire.
Cosa significa invece essere disabile? Disabile significa essere non abile. Ma l’inabilità potrebbe non intaccare l’intelligenza o le emozioni o il modo di amare. Il disabile potrebbe amare così come amo io, o chiunque altro che, come me, si ritiene normodotata. Eppure quante paure e menomazioni nascondiamo noi che ci riteniamo sani.
Ci nascondiamo dietro a stereotipi perfetti, compiuti, belli, come la Barbie o il Big Jim con i quali giocavamo quando eravamo piccole. Non ho mai visto una bambola imperfetta, anche se io da bambina mi divertivo a menomarle staccando loro le gambe e le braccia. Chissà per quale meccanismo perverso! O forse, quell’ideale di bellezza non era agli occhi di noi bambini così vero, tangibile. I bambini non hanno filtri, riescono ad andare oltre lo sguardo degli adulti, sanno dare un nome alle cose, nude e spoglie, riescono a trovare soluzioni laddove noi ci arrovelliamo, ci ingarbugliamo. Sanno amare e picchiare e, allo stesso tempo, sorridere e perdonare. Il loro mondo semplice un tempo era anche il nostro semplice mondo, solo che crescendo lo abbiamo dimenticato e nascosto nelle viscere del nostro oscuro inconscio.
Poco prima di conoscere mio marito, ero molto amica di un ragazzo paraplegico. Con lui ho trascorso dei momenti felici, spensierati, la sua meravigliosa testa mi affascinava, era capace di farmi sorridere, interrogare, la sua carrozzina era l’ultima cosa che vedevo, l’ultimo ostacolo che potesse intralciare la nostra amicizia, il nostro stare insieme. Sì, ma sino a quando? Sino a quando lui non si è innamorato di me e, allora, tutto è cambiato. Quella carrozzina, quella sua disabilità mi aveva investita in pieno. Ho sempre avuto lo spirito della crocerossina, Candy Candy, per intenderci, ha invaso la mia adolescenza, facendomi sentire in colpa davanti ad ogni azione di bene rifiutata. Ma qui non si trattava di “una cura e via”, qui si trattava di una intera vita trascorsa con un uomo che avrei dovuto spogliare, lavare, mettere a letto, ed invece ero io ad avere bisogno di cure. Big Jim si affacciava prepotentemente nella mia mente e non lasciava spazio per nessun uomo che non fosse perfetto.
E se anche Big Jim con gli anni diventasse imperfetto, perdesse la vista o, a causa di un terribile incidente o malattia, perdesse l’uso delle gambe e rimanesse su di una sedia a rotelle? Lo lasceremmo andare? Non saremmo più in grado di amarlo?
Tempo fa, mi colpì una frase di un mio amico non vedente: «Io non posso vedermi allo specchio, quindi non so se sono bello o brutto, ma tutte le donne mi trovano affascinante e bello, mi usano, sono l’uomo di una sola sera, l’uomo usa e getta». L’amore esiste davvero? O è solo una mera illusione dell’uomo per sottrarsi alla propria solitudine? Tante domande tutte insieme alle quali ho dato, d’istinto, una risposta stupida e ovvia: esiste il diversamore. Una battuta che ha fatto sorridere entrambi.
Oggi sono io che, invece, mi pongo la domanda inversa. Perché dovremmo amare un disabile? Perché ci intenerisce? Perché è “poverino” o peggio ancora “ci fa pena”? Potrebbe stupirci scoprire, ad esempio, che anche un Big Jim, dietro i muscoli, nasconda un cervello superiore alla norma, mentre noi lo abbiamo catalogato nel nostro cervello solo nella sezione: bellezza.
Oggi penso che non era la carrozzina l’ostacolo tra me e quel mio amico, ma la mancanza di amore, già, quell’amore capace di portarti oltre tutto. Non è con un malato che noi dovremmo confrontarci, ma con l’amore, e l’amore fa paura, ci rende inermi, scontati e chiusi nei nostri stereotipi.
Amare una persona disabile non significa amare di più o di meno, ma è amare. Amare, punto e basta. Persona e disabilità sono due aspetti imprescindibili, che appartengono allo stesso individuo.
Forse dovremmo scrollarci alcune congetture del tipo: “io normodotato, non dovrei sentirmi superiore di fronte a te” e tu, disabile, non dovresti rimanere ancorato all’idea che qualsiasi normodotato abbia in mente solo la tua disabilità. Abbiamo dimenticato come si fa ad apprezzare la persona nella sua interezza, vediamo solo l’apparenza e, del resto, non è vero quel detto che l’apparenza inganna?

Giusy Milone

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