<<Non si vede bene che col cuore, l’essenziale è invisibile agli occhi>>, bellissimo pensiero tratto da “Il piccolo principe” di Antoine de Saint – Exupéry.
Io sono disabile visiva, affetta da una patologia genetica e degenerativa agli occhi, la retinite pigmentosa, che potrebbe condurmi un giorno alla cecità. Al momento ho una visione tubulare, ossia un residuo visivo centrale simile a quello che si avrebbe osservando il mondo attraverso il buco di una serratura poiché ho perso la visione periferica. Ho altri deficit visivi sempre correlati alla patologia quali cecità notturna, difficoltà nel percepire i contrasti e le tonalità affini dei colori, abbagliamento alla luce e difficoltà di adattamento ai cambi di luminosità. Ho anche un visus molto ridotto, circa 2 e 4 decimi con le lenti correttive. Ma ciò che fondamentalmente sono… una mamma, e per scelta consapevole.
Ed allora sorgono molti dubbi spontanei e giustificati. Come ho potuto scegliere di diventare ugualmente mamma pur sapendo di avere una malattia genetica trasmissibile ai figli? Come ho affrontato soprattutto i primi anni di vita dei miei bambini nelle mie condizioni? Come affronterò l’eventualità che i miei figli ereditino la mia stessa patologia e come potranno affrontarla loro, sapendo che è stato un rischio consapevole?
Ebbene, inizierò col riconoscere che è stata una scelta, appunto, consapevole. Anche se quando ho scelto di diventare madre, poco sapevo della patologia da cui ero affetta e forse poco ho voluto sapere in quel frangente, ero ancora in una fase di accettazione, trasformazione e ricerca di consapevolezza, ed ero anche poco cosciente dei miei sintomi reali, del decorso e di molti altri fondamentali particolari. Scoprii la patologia nel 2001 ma ne compresi realmente sostanza e gravità, solamente molti anni dopo, grazie ad un medico più sensibile, responsabile e competente dei precedenti che mi avevano avuta in cura.
Ma quando scelsi di diventare madre, pensai solamente al desiderio di avere una creatura tutta mia fra le braccia, da accudire e crescere con immenso amore. Sì, riflettei sulla mia patologia, ma ancora poco ne sapevo ed in verità poco mi dicevano i medici da cui ero seguita allora, nemmeno mi ero sottoposta al test genetico che avrebbe in seguito decretato il tipo di trasmissibilità e le relative probabilità di ereditarietà. Ma rischiai ugualmente perché pensai, in tutta sincerità, che la mia non fosse comunque una patologia mortale e che io ancora in età adulta vedevo, sebbene poco, ma vedevo… e se la mia creatura l’avesse ereditata probabilmente avrebbe avuto un decorso simile. Inoltre, pensai che la scienza avrebbe fatto notevoli progressi ed in futuro sarebbe stata curabile. Forse sono stata egoista ma ho solo desiderato donare la vita a delle creature che avrebbero trovato fra le mie braccia amore, sicurezza, comprensione e speranza. E poi pensai anche che non si può avere la certezza di concepire figli assolutamente sani ed i rischi si corrono in ogni eventualità, anche se adesso, con le nuove tecnologie, molte patologie si possono identificare attraverso test genetici prenatali.
Solamente molti anni dopo scoprii che ero affetta da una forma di retinite pigmentosa dominante e che ne erano affetti anche mio fratello e mia madre, sebbene con esordio più tardivo e decorso più lento. E dubito avrei fatto scelte differenti, nonostante possano essere opinabili e controverse. Posso solo ribadire che ho conosciuto con i miei figli un amore ed una gioia immensi a cui mai potrei rinunciare e di cui mai potrei pentirmi.
Se mai dovessero ereditarla avranno me come esempio di forza, consapevolezza, ottimismo e determinazione. Non sarà facile perché ciò che di spiacevole accade a noi mamme è sopportabile ma se sono i nostri figli a patirne, è molto più difficile da accettare e gestire, forse l’unico vantaggio è proprio averlo provato sulla propria pelle ed essere sopravvissuti, non solo… esser riusciti a trarne opportunità, speranze e sorrisi a prescindere.
Certo, probabilmente non sarà così per ogni disabile che vive tale condizione con risvolti assolutamente diversi e soggettivi, ma è la mia esperienza e tale la trasmetterò proprio perché la conosco profondamente e la vivo giorno per giorno sulla mia pelle, nel mio sguardo ed ancor più nell’anima.
Al di là di ogni considerazione personale di ciascuno di noi, io mi sentivo assolutamente in grado di prendermi cura dei miei figli, e così è stato. Non ho dovuto chiedere alcun aiuto e sono stata in grado di superare ogni difficoltà come qualunque altra mamma, certo con qualche attenzione in più e qualche svista di troppo, ma nulla d’insormontabile e pericoloso per le mie creature. Li avrò urtati qualche volta in più nel correre per casa, avrò calpestato qualche giocattolo o scambiato alcuni colori nel vestirli ma sono stata una mamma molto premurosa e attenta, ed i miei figli hanno ben presto compreso le mie difficoltà venendomi, sin da molto piccoli, spontaneamente incontro ed in modo molto naturale, spostandosi o spostando gli oggetti, avvisandomi dei colori errati o di eventuali ostacoli, anche se spesso me ne ero già resa conto, per la molta attenzione perfusa istintivamente soprattutto quando erano molto piccoli. In ogni caso, quando mi è stato necessario ho accettato molto volentieri l’aiuto dei miei familiari, ma ciò accade a qualunque madre, il cui più grande bisogno nei primi mesi è soprattutto il sostegno psicologico, comprensione e rispetto. Ed a me non sono mai mancati fortunatamente.
E mi sono resa conto solo col tempo e con la consapevolezza, soprattutto da quando ho iniziato ad utilizzare il bastone per poter uscire in autonomia, anche con i miei bimbi, di quanto fosse naturale e spontaneo per loro agevolarmi ed indicarmi eventuali ostacoli, anche se li avrei scorti da sola con ausilio ed attenzione, e soprattutto di quanto fossero responsabili e disciplinati al mio fianco senza che fossi io a riprenderli o che lo avessi mai fatto. È stato ciò che più mi ha sorpreso effettivamente e ne sono stata davvero orgogliosa. Ho sempre parlato apertamente della mia condizione, sia in ambienti familiari che non, ed ho sempre cercato di trasmettere spontaneità, serenità, speranza e consapevolezza ed ho visto sbocciare in loro fiori vivaci, forti e preziosi.
Ho naturalmente raccontato la mia personale esperienza, senza pretesa alcuna né giudizio, e molte altre ne leggerete e sentirete raccontare, anche di persone totalmente non vedenti o nelle condizioni visive più svariate, che probabilmente avranno affrontato la stessa esperienza in molte modalità differenti, con altrettanti screziati presupposti, condizioni, evoluzioni, supporti e stati d’animo nel variegato universo della disabilità visiva.
Inoltre, ci saranno sicuramente molti disabili visivi che hanno fatto e faranno scelte totalmente differenti, magari più razionali e consapevoli, ed io ho il massimo rispetto e comprensione per ciascuno ed è ciò che vorrei per me e tutti coloro che hanno fatto scelte simili alle mie. Ogni risvolto della medaglia ha pro e contro e non sempre è facile, anzi quasi mai, valutarne limiti, cause ed effetti in assoluta oggettività.
È un argomento complesso e controverso e suscita spesso polemiche, critiche e diffidenza ma anche comprensione, rispetto e solidarietà. La mia speranza è veder fiorire queste ultime sulla fertile terra in cui le prime sono appassite affinché si diffonda il seme della speranza in un futuro in cui saranno sempre più fondamentali e diffusi i sorrisi sinceri, gli sguardi complici, le mani che si stringono ed i cuori che palpitano in sintonia in un ambiente d’amore ed empatia… utopia, lo so!