La foto mostra Filippo Bonaventura, Lorenzo Colombo e Matteo Miluzio

Cosa ci spinge oltre? Oltre i confini di un’apparente normalità. Oltre le contraddizioni. E le difficoltà. Oltre i pregiudizi. E le perplessità. Per noi disabili è quasi una costante. È un modo di vivere. È una condizione necessaria per sopravvivere in una giungla di preconcetti, barriere architettoniche, diffidenza e indifferenza.
E poi c’è chi guarda oltre. E lo fa per mestiere. Per necessità. E per passione, soprattutto. È il caso di Matteo Miluzio: laureatosi in Astronomia all’Università di Padova, dove ha conseguito anche il Dottorato in Astronomia occupandosi in particolare di supernove e galassie attive, attualmente lavora per la missione spaziale Euclid nella sede di Madrid dell’Agenzia Spaziale Europea. Divulgatore scientifico, in collaborazione con gli astrofisici Lorenzo Colombo e Filippo Bonaventura, attraverso i canali multimediali e social di “Chi ha paura del buio”, Miluzio è inoltre anche autore – ancora insieme a Colombo e Bonaventura – dei libri “Se tutte le stelle venissero giù” e “L’universo su misura”.

Che tipo di tecnologie sta sviluppando in questo periodo l’Esa e più in generale il settore della ricerca spaziale?
“Dipende, in genere per missioni spaziali è consuetudine utilizzare tecnologie piuttosto testate e rodate, quindi spesso vengono lanciate con tecnologie che, tra virgolette, sono un po’ obsolete.  In alcuni casi si sono sviluppate delle tecnologie nuove, come ad esempio per la missione Solar Orbiter, un satellite per l’osservazione del Sole e in particolare della sua eliosfera, sviluppato dall’Esa in collaborazione con la Nasa, che ci fornirà dati senza precedenti analizzando soprattutto le alte latitudini e trasmettendoci immagini dei poli mai ottenute prima, grazie ad un’orbita inclinata rispetto all’equatore. Il Solar Orbiter ha uno scudo termico innovativo mai testato in quegli ambienti per ovvie questioni tecniche.
La sonda Parker Solar Probe della Nasa invece è penetrata nella corona solare, la parte più esterna dell’atmosfera della nostra stella, e sopporta temperature di 1.400 gradi grazie allo scudo termico di cui è dotata, transita attraverso particelle a milioni di gradi ma a densità molto bassa, regalandoci dati e immagini indimenticabili.
Il JWST (James Webb Space Telescope), successore del telescopio Hubble, ad esempio, ha tecnologie relativamente nuove perché è un progetto di venti anni fa. Hubble orbita attorno alla Terra e lavora principalmente nel visibile, estendendosi anche al vicino ultravioletto e infrarosso, mentre JWST orbiterà attorno al Sole a 1,5 milioni di km di distanza da noi, nei pressi del punto lagrangiano L2, e osserverà principalmente nel medio e vicino infrarosso e fino al giallo-rosso dello spettro visibile. Ciò gli consentirà di guardare più lontano nel tempo rispetto a Hubble: se questo può osservare le galassie giovani a circa 1 miliardo di anni dal Big Bang, James Webb potrà osservare le galassie in formazione, o appena formate, fino a 300 milioni di anni dal Big Bang.
Già quest’anno e poi nei prossimi anni partiranno inoltre alcune missioni con lo scopo di testare i primi metodi di difesa, principalmente deviare l’orbita di un ipotetico asteroide o cometa. I metodi di difesa dipenderanno strettamente dall’anticipo con cui un oggetto viene scoperto e ovviamente dalle sue dimensioni. Nasa ed Esa hanno già avviato la missione spaziale AIDA (Asteroid Impact & Deflection Assessment) che consiste nel lancio nello spazio di due veicoli spaziali per capire se è possibile deviare gli asteroidi attraverso l’impatto cinetico. Le due sonde sono DART (Double Asteroid Redirection Test) che impatterà sull’asteroide, della Nasa, e AIM (Asteroid Impact Mission) che monitorerà l’impatto e le sue conseguenze, dell’Esa. La loro destinazione è il sistema binario di asteroidi Didymos, una coppia di rocce spaziali che arriverà “vicino” alla Terra a 11 milioni di chilometri nel 2022, occasione perfetta per l’esperimento.  La missione vede la partecipazione anche dell’Agenzia Spaziale Italiana che ha costruito la sonda LICIACube, che viaggerà all’interno di DART. Dieci giorni prima dell’impatto si staccherà per riprendere gli ultimi istanti di DART prima dell’impatto e fotografare il cratere che si dovrebbe formare per conoscere meglio la struttura dell’asteroide e analizzare alcuni effetti prodotti dall’impatto”.

Quali tecnologie sono applicabili o già applicate in altri ambiti ed in particolare in medicina?
“Molte sono le tecnologie spaziali poi utilizzate in altri ambiti. Tra le più importanti il GPS (Global  Positioning System), la realtà virtuale (VR), le batterie argento-zinco per garantire una lunga durata, le tecnologie per il  riciclo e la depurazione dell’acqua; Cmos poi è il sensore utilizzato nelle fotocamere digitali e cmos-aps per i telefonini, e ci sono anche le  tecnologie per migliorare la qualità delle immagini, gli assorbitori armonici o ammortizzatori ultraleggeri utilizzati nel  settore edile per migliorare la resistenza a oscillazioni e vibrazioni dovute a vento e terremoti. Ed ancora: Lidar è il laser oggi utilizzato nella ricerca di reperti archeologici, Veggie è un sistema di produzione per alimenti freschi in schiera che utilizza led rossi e blu e un particolare fertilizzante a rilascio lento.

Forse una delle più clamorose tecnologie applicabili alla medicina deriva proprio dagli algoritmi sviluppati dagli astronomi per correggere un difetto del telescopio spaziale Hubble, poi applicati in ambito medico per migliorare la risoluzione delle mammografie e individuare meglio micro-calcificazioni al seno in maniera più precoce. Ma sono veramente tantissime le tecnologie applicabili e applicate in ambito medico, derivanti soprattutto dai tanti esperimenti effettuati a bordo della stazione spaziale per tutelare la salute degli astronauti. Tra queste le più importanti sono: sistemi  di eye-tracking per posizionare correttamente i laser negli interventi di chirurgia oculare, il neuroArm o primo braccio  robotico capace di intervenire sui tumori cerebrali direttamente durante la risonanza magnetica, il dispositivo per  monitorare le concentrazioni di monossido d’azoto e controllare la salute dei pazienti asmatici in terapia, programmi per  contrastare la perdita di densità ossea in pazienti affetti da osteoporosi, termometri a infrarossi per rilevare con  precisione e in modo non invasivo la temperatura interna, le metodologie non invasive per monitorare la pressione  intracranica, tecniche di imaging cerebrale diagnostiche più precise, più semplici tecniche di dialisi, la schiuma di  poliuretano per i materassi, l’aerogel per proteggere dal freddo, nuove protesi per disabili leggere e resistenti, i  coagulometri tascabili, la lega di acciaio Cronidur30 impiegata anche per realizzare alcuni strumenti chirurgici”.

Quali tecnologie sono state applicate in particolare in ambito di ricerca, diagnosi e cura dell’apparato visivo?
“Proprio per quanto riguarda la medicina relativa all’ambito visivo, sulla stazione spaziale sono stati svolti diversi esperimenti che riguardano anche la vista, soprattutto per tutelare la salute degli astronauti; inoltre molte tecnologie usate per produrre gli specchi di telescopi come il James Webb vengono poi riutilizzate per la produzione di lenti per la vista sempre più performanti ed avanzate. La Nasa ha condotto inoltre ricerche ottiche su caschi spaziali che hanno dato  un contributo sostanziale all’ottica in molti prodotti commerciali non collegati all’esplorazione spaziale, tra questi i più  noti sono gli occhiali da sole con protezione dai raggi ultravioletti che possono causare effetti a lungo termine che  includono la possibile cecità, la lampadina per focalizzare la luce su una superficie che migliora le condizioni di lavoro  per le persone che soffrono di degenerazione maculare, resistenti lenti antigraffio per gli occhiali, filtri ottici per  bloccare la luce blu e verde che crea una particolare foschia in particolari condizioni meteorologiche, maschere da sci che non si appannano”.

Come risponderesti a quanti ritengono eccessivi i costi della ricerca spaziale? Quali sono i vantaggi concreti in altri ambiti e per l’umanità?
“Innanzitutto consiglierei di vedere alcuni nostri spettacoli in cui parliamo proprio del perché è importante investire risorse nella tecnologia spaziale, e la risposta è concreta: vi è un ritorno economico, tecnologico, sociale, ambientale, vitale che coinvolge aspetti fondamentali della nostra vita. Ad esempio, satelliti come quelli della flotta Copernicus dell’Esa aiutano a monitorare le concentrazioni di inquinanti nell’aria quotidianamente fornendo un importante strumento per mettere in atto eventuali contromisure. L’obiettivo di Sentinel 2, nello specifico, è proprio monitorare i cambiamenti del nostro pianeta, come l’aumento del livello dei mari, la qualità dell’aria o eventi meteorologici estremi. Le missioni di ultima generazione, come appunto Solar Orbiter e Parker Solar Probe, servono anche a questo: aiutarci a comprendere meglio la meteorologia solare per prevedere in anticipo eventi che potrebbero impattare negativamente su di noi. Poi come detto la missione spaziale AIDA, grazie ai satelliti AIM e DART, ha lo scopo di testare i primi metodi di difesa, principalmente deviare l’orbita di un ipotetico asteroide o cometa che potrebbe pericolosamente impattare sulla nostra amata ed unica Terra. Inoltre per quanto riguarda Hubble e il contributo alla diagnostica mammografica al seno gli astronomi hanno sviluppato la tecnologia necessaria grazie al loro impegno, ma anche e soprattutto grazie ai finanziamenti ricevuti. E proprio la possibilità di interfacciarsi con problemi molto più complessi e diversi rispetto a quelli riscontrabili sulla terra ha permesso loro di trovare soluzioni molto più efficaci e dalle svariate applicazioni teorico-pratiche, che sulla terra sarebbe stato difficile, se non impossibile, trovare. È proprio un modo di pensare completamente diverso, e il modo di pensare non lo si compra semplicemente invertendo gli investimenti economici della ricerca spaziale con quelli di qualsiasi altro ambito di ricerca scientifica. È possibile giungere a certe soluzioni solo attraverso ragionamenti diversi e specifici, propri della ricerca spaziale”.

Quali sono le prospettive per il futuro e quali le tue aspettative?
Dal mio punto di vista l’evento più importante e atteso è il lancio di Euclid, una delle missioni più ambiziose dell’Esa, e per cui sto attualmente lavorando, che dovrebbe avvenire tra un anno, il cui obiettivo sarà ottenere informazioni sull’universo oscuro, energia e materia oscura, tramite l’analisi della forma delle galassie e del relativo redshift per creare una mappa 3D dell’universo fino a 10 miliardi di anni fa.

Poi vi è il lancio di Exomars. La missione è suddivisa in due fasi. Nella prima, lanciata nel 2016, la sonda TGO ha raggiunto l’orbita di Marte per iniziare una lunga fase di indagini sulla presenza di metano e altri gas presenti nell’atmosfera, ma anche per cercare indizi di una presenza di vita attiva. La seconda parte della missione, che dovrebbe invece prendere il via nel 2022, consiste nel portare su Marte un innovativo rover, Rosalind Franklin, capace di muoversi e, soprattutto, di penetrarne il suolo per analizzarlo. La missione ha il compito di indagare le tracce di vita passata e presente su Marte e la caratterizzazione geochimica del pianeta.
Altra attesa importante è il nuovo lancio che effettuerà la Cristoforetti il 26 aprile: tornerà nello spazio con SpaceX, società privata che fornisce servizi di trasporto spaziale e che nasce con l’obiettivo di ridurre i costi dei lanci spaziali e favorire la colonizzazione di Marte. La nuova missione di Samantha sarà sull’ISS (Stazione Spaziale Internazionale), un grande laboratorio nello spazio. L’equipaggio sarà composto inoltre dal comandante Kjell Lindgren, dal pilota Robert Hines e dalla specialista di missione Jessica Watkins, e Samantha ricoprirà il ruolo di guida dell’United States Orbital Segment (USOS), il segmento internazionale della ISS”.
Era il 20 luglio 1969 quando Neil Armstrong, comandante della missione spaziale Apollo 11, posando il piede sinistro sull’ultimo gradino della scaletta del Modulo di escursione lunare (il Lem), disse al microfono del proprio casco: “That’s one small step for a man, one giant leap for mankind”, “Questo è un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità”.

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