La foto mostra un non vedente che cammina con l'ausilio di un bastone luminoso

Spesso, ciò che sembra giusto ed eticamente condivisibile per qualcuno, può non esserlo per qualcun altro, soprattutto se ciò riguarda la sfera strettamente personale in merito a scelte, obiettivi e prospettive di vita. Uno spunto mi è stato offerto in un gruppo social che verte su argomenti inerenti la disabilità visiva e uditiva. Qualcuno chiedeva cosa pensassero e che esperienze personali avessero i membri del gruppo riguardo la scelta di genitorialità, presupponendo la presenza di una disabilità in almeno uno dei possibili genitori.
Essere genitori è una scelta, quando possibile, a volte càpita, altre una rinuncia, ma è certamente una responsabilità e un impegno a vita.  E dovrebbe essere soprattutto una gioia. Ma in certe circostanze, proprio come queste, diventa il vessillo di una campagna moralizzatrice e di contestazione, un vero e proprio spartiacque per chi crede sia incoscienza riprodursi con tali rischi e chi invece crede ne valga comunque la pena. Ma in realtà vi è un intero universo di sfumature e possibilità che trovo riduttivo schierarsi da una parte o dall’altra.
Innanzitutto è bene chiarire il concetto di ereditarietà e le eventuali e possibili combinazioni.
Con l’espressione retinite pigmentosa ci si riferisce ad una patologia, parte di un gruppo di malattie ereditarie della retina, che provoca perdita progressiva della vista fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla cecità totale. All’interno di questo gruppo di patologie vi sono delle sindromi che, alla malattia retinica, aggiungono alterazioni come la sordità (sindrome di Usher).
“Si conoscono un centinaio di geni che – se mutati – possono essere coinvolti nell’insorgenza della malattia. Sono possibili varie modalità di trasmissione: autosomica dominante (un genitore malato ha il 50% di probabilità di trasmettere la malattia a ciascuno dei figli); autosomica recessiva (i genitori sono entrambi portatori sani e hanno il 25% di probabilità di trasmettere la malattia a ciascuno dei figli); eredità legata all’X (la madre portatrice trasmette la malattia solo ai figli maschi con una probabilità del 50%, mentre le figlie femmine hanno il 50% di probabilità di essere portatrici sane). In alcuni casi la malattia si presenta in modo sporadico, senza che siano presenti alterazioni genetiche in altri membri della famiglia… (la) sindrome di Usher … è sempre autosomica recessiva.”, (tratto da https://www.telethon.it/cosa-facciamo/ricerca/malattie-studiate/retinite-pigmentosa)
Ovviamente nel caso di ereditarietà autosomica recessiva, se uno dei genitori è portatore sano e l’altro è sano, né malato e né portatore sano (non è portatore di alcuna mutazione genetica specifica riferita a tale malattia), i figli potranno essere sani, portatori sani, ma mai malati. Se invece uno dei genitori è malato e l’altro è sano, i figli saranno sempre portatori sani, ma mai malati. Se ancora un genitore è malato e l’altro è portatore sano, i figli potranno essere malati o portatori sani, ma mai sani. Diverso è il discorso di ereditarietà autosomica dominante dove, indipendentemente dall’altro genitore, il figlio non potrà mai essere portatore sano, ma solo malato o sano se uno dei genitori è sano, e con probabilità di essere malato che salgono al 75% se anche l’altro genitore è malato.
Quindi prima di affrontare un discorso così complesso, sarebbe bene essere perfettamente a conoscenza dello specifico carattere ereditario della propria patologia e anche della presenza o meno della stessa nell’altro genitore e in che forma e misura. E soltanto una consulenza genetica e un test del DNA specifico possono fornire tali opportune risposte. Una volta accertato e valutato ciò, con il supporto di un genetista si potranno valutare gli aspetti propriamente etici e personali.
Anche perché, nonostante la meticolosa e precisa valutazione di ogni rischio legato a tali patologie genetiche, ciò non esclude la presenza di altre mutazioni, anche più gravi e non diagnosticabili preventivamente, o di altre patologie legate ad ulteriori fattori di rischio non genetici ed ereditati, o ancora di successivi eventi gravi o spiacevoli.
Inoltre, ulteriori condizioni che influenzano determinate e specifiche scelte, riguardo il diventare o meno genitori, sono strettamente connesse a caratteristiche individuali di personalità, al livello di gravità della malattia e alla presenza di altri casi in famiglia, alle modalità in cui la si affronta e gestisce, come per la disabilità conseguente, al supporto familiare e sociale realmente ricevuto e soggettivamente percepito.
Probabilmente ancora molti altri fattori entrano in gioco ed è per questo che si dovrebbe sempre fare un passo indietro ed esimersi da qualsiasi giudizio o pregiudizio. Ciascuno ha il proprio mondo, la propria storia, percorre i propri passi. Dare la vita è sempre e comunque un rischio, forse anche un atto egoistico da certi punti di vista, ma altruistico da altri. La vita stessa è un rischio, ed è ricca di variabili e sfumature, spesso imprevedibili, eppure nella maggior parte dei casi val, comunque, la pena di essere vissuta.

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