La foto mostra un campo di concentramento

“Normale”: Quante volte sentiamo questa parola? Quante volte giudichiamo, etichettiamo ed emarginiamo qualcuno solo perché lo riteniamo “anormale” o “strano”? Vi siete mai chiesti cosa significa e cosa è “normale”? Che prototipo stiamo cercando di inseguire? Dal latino “norma” la parola normalità assume il significato di squadra o di regola, da cui deriva il termine “normalis”, ovvero perpendicolare, un qualcosa di consueto, di rettilineo. Ma non è forse noioso un mondo in cui tutti hanno un pensiero ordinario, uguale e ripetitivo? Alda Merini affermava: “Chi decide cosa è normale? La normalità è un’invenzione di chi è privo di fantasia”. Si parla spesso di “paura del diverso” ma cosa ci fa realmente paura? Abbiamo idea di quanta gente abbiamo discriminato e ucciso per semplice “paura”?
Il 17 novembre 1938 vengono promulgate in Italia, dal partito fascista di Benito Mussolini, le leggi razziali, ovvero delle leggi in difesa della razza ariana, l’unica al tempo considerata “superiore” e “pura”, la quale escludeva tutte le persone in minoranza, più deboli o ritenute contro natura. In modo particolare, queste leggi miravano a distruggere e sterminare il popolo ebraico, il quale diventò il vero e proprio capro espiatorio dell’Europa. I prigionieri erano deportati in dei campi di concentramento e lì, erano divisi in categorie: gli ebrei indicati con la stella di David o con il triangolo giallo, gli uomini omosessuali indicati con il triangolo rosa, gli “asociali” (malati mentali, senzatetto, alcolisti, prostitute, donne omosessuali, disabili) indicati con il triangolo nero, gli avversari politici indicati con il triangolo rosso, i testimoni di Geova indicati con il triangolo viola e i delinquenti comuni indicati con il triangolo verde.
Ciò che commise l’uomo in quegli anni fu a dir poco atroce e indescrivibile ma oggi possiamo davvero ritenerci così distanti da quella straziante verità? Nel mondo, esistono ancora paesi che non tutelano le persone, violano i diritti umani e limitano la libertà di espressione. Perché bisogna estremizzare tutto ciò che è diverso, perché non possiamo semplicemente accertarlo. Allora mi viene da pensare che sì, non portiamo più il pigiama a strisce o la stella di David, ma solo apparentemente, per sentirci guariti, assolti da una ferita storica che ha cambiato per sempre le sorti dell’umanità: “il genocidio”.
Assistiamo inermi alle immagini che ci vengono propinate dai social, le condividiamo per inerzia, perché rappresentavano il caso o l’evento, forse per far tacere la nostra coscienza come, ad esempio, le stragi degli immigrati morti nei nostri mari o chi ha perso la vita ingiustamente solo per il colore della sua pelle, o per il suo orientamento sessuale, o ancora le donne che vengono private di ogni diritto, trattate come oggetti e uccise.
Abbiamo paura del diverso, usiamo parole come “omofobia”, “razzismo”, “xenofobia”, per giustificare l’ingiustificabile. Chiamiamo “opinioni” parole offensive, che hanno un peso su chi le ascolta, perché inchiodano e condannano.
La verità è che non siamo pronti ad accogliere l’altro e ad accettarlo così com’è, “diverso”. Non siamo capaci di entrare nell’universalità di un mondo che ci contraddistingue, ci arricchisce proprio per questa sua diversità, proprio per questa sua immensa ricchezza. Se il mondo non avesse avuto il mare, la montagna, i boschi, i fiori, non avremmo potuto apprezzarne l’immenso patrimonio artistico. La natura è armonia proprio per questa sua diversità.
Ci sentiamo superiori, ma a chi? Mi chiedo quale sia il metro di paragone, quale razza superiore può ritenersi tanto pura da uccidere, per affermare il proprio pensiero con la forza. Hitler c’è riuscito e molti altri continuano a farlo, sotto mentite spoglie. Se ascoltassimo l’altro, anziché sovrastarlo, staremmo già percorrendo un cammino verso un cambiamento.
Incolliamo sulle nostre pagine social che la “diversità è ricchezza”, ma poi nella realtà dei fatti lasciamo solo, chi non riesce a saltare l’ostacolo, perché non siamo in grado di prenderci carico dell’altro.
Io sono ancora molto giovane e ho bisogno di credere che parole come “razzismo”, “omofobia”, “xenofobia” spariscano dal nostro vocabolario e rimangano solo una macchia nera della nostra storia”. Per questo è importante ricordare tutti i giorni e non solo il 27 gennaio, le vittime di quella che è stata una delle più grandi tragedie della storia.
“Tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo” (Primo Levi)

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