La foto mostra le mani giunte di una persona anziana

La tecnologia, nel contesto contemporaneo, ha assunto in modo preponderante un ruolo da assoluta protagonista. Volenti, o nolenti, non siamo più nelle condizioni di farne a meno… Senza scomodare esempi ovvi, quali computer, tablet o smartphone, se si pensa semplicemente alla lavatrice, al frigorifero e perfino al forno, tutto è oramai nelle “mani” di microcomputer e di circuiti elettronici sempre più sofisticati… Per non parlare, ovviamente, delle automobili. Certo, alla crescita assolutamente esponenziale del ruolo di tali dispositivi, nel quotidiano, non corrisponde una crescita altrettanto importante nella conoscenza sull’uso adeguato della stessa tecnologia che vi sta dietro e, spesso, si finisce per “subirla” quasi passivamente, o peggio per farne un uso improprio.
Non è esente a questa premessa nemmeno la particolare sfera applicativa entro la quale si muovono le cosiddette tecnologie assistive, mission principale di vEyes. Spesso, talvolta, non si è nemmeno a conoscenza dell’esistenza di tale terminologia, ma anche nei casi in cui se ne è sentito parlare, si tende in modo eccessivamente approssimativo a considerarla solo una applicazione di hardware e software in favore di persone con disabilità. Certo, è innegabile che tale risvolto applicativo sia notevolmente importante. Dispositivi che consentono di riacquistare una certa autonomia, almeno in alcune azioni quotidiane, sono quelli maggiormente noti. Alcuni li abbiamo trattati nel corso dei precedenti numeri, quali ad esempio le protesi retiniche, o gli innumerevoli strumenti ideati, progettati e costruiti in vEyes (basti pensare alla piattaforma indossabile, a Leonard o a Poseidon 2.0), con i quali si punta a ridare autonomia, perfino nella mobilità, a chi vive una condizione di disabilità visiva, ma anche a strumenti quali l’esoscheletro, che permette perfino di far ritornare a camminare, in autonomia, alzandosi dalla propria sedia a rotelle, persone che hanno perso l’uso delle gambe.
Questa convinzione errata, tuttavia, porta tanti a considerare tutto questo qualcosa di talmente distante, se non si vive alcuna condizione di disabilità sulla propria pelle, o in una persona cara, da disinteressarsi totalmente del contesto. In realtà, quando si parla di tecnologie assistive, sarebbe più corretto estendere il contesto applicativo anche in favore di persone che vivono una condizione temporanea di inabilità: basti pensare a chi ha subito un intervento chirurgico con tecniche invasive, ma anche “semplicemente” a chi ha subito una frattura ad esempio a seguito di una brutta caduta. Tutte condizioni che allargano sicuramente il target dei potenziali utilizzatori, all’interno del genere umano. Sarebbe più corretto, dunque, definire le tecnologie assistive come strumenti hardware e software in grado di assistere persone che hanno necessità “speciali”, siano essere temporanee o permanenti, e che possono dunque trovare un valido supporto proprio nella stessa tecnologia, per convivere al meglio con la propria condizione di inabilità. Tutto questo, tra l’altro, estende l’uso delle tecnologie assistive ad un’altra fetta di popolazione davvero ampia, soprattutto nel nostro paese dove si registra uno tra i tassi di natalità più bassi al mondo. Mi riferisco alle persone anziane.
In questo contesto, ad esempio, le tecnologie assistive possono permettere ad una persona anziana di poter vivere in autonomia, nel proprio ambiente domestico, anche da sola, piuttosto che essere strutturata all’interno di case di riposo, con un incredibile miglioramento sulla qualità della vita. Strumenti tecnologici in grado di monitorare parametri vitali, trasmettendoli a personale sanitario distante anche parecchi chilometri, o di segnalare eventuali malori, cadute o altre condizioni di emergenza, per l’immediato soccorso, o ancora in grado di verificare se si stanno assumendo con regolarità farmaci salvavita, se ci si sta nutrendo o idratando in modo corretto, possono diventare, nell’immediato, oggetti altrettanto naturali quanto gli elettrodomestici citati all’inizio di questo articolo. E tutto questo non è futuro, o peggio ancora fantascienza, ma assolutamente realtà. Basti pensare, ad esempio, che già da più di due anni, negli Stati Uniti, poco fuori St. Louis, è in funzione un ospedale che impiega ben 330 professionisti sanitari, senza alcun posto letto. Si, avete letto bene. Nessun paziente viene ricoverato all’interno della struttura. Il personale segue i pazienti, grazie all’uso delle tecnologie assistive, da remoto, senza che debbano dunque spostarsi da casa.
Non è affatto mia intenzione voler sollevare polemiche, ma mi viene in mente una considerazione: quando in vEyes proviamo a cercare aiuti (anche economici, con strumenti quali il 5 x 1000, che non costano nulla a chi decide di darci una mano), forse faremmo bene a ricordare a quanti si disinteressano al nostro lavoro, solo perché vedono e non hanno alcuna persona cara che vive tale condizione di disabilità, che gli strumenti ai quali stiamo lavorando, con pochissimo, potranno diventare utili anche per mettere le basi a quello che sarà il loro futuro, se avranno il dono di invecchiare. Magari questo farà girare dall’altra parte meno persone, considerando tutto quello che facciamo non interessante o utile…

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